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L’Unione europea dopo il voto americano

L’Unione europea dopo il voto americano
Joe Biden è stato vicepresidente degli Usa dal 2009 al 2017

Ci siamo spesso lamentati della salute della democrazia rappresentativa in Europa e adesso non ci rincuora costatare il malessere acuto rivelato dal voto Usa per la “antica e grande” democrazia americana. Per molti aspetti si tratta di situazioni non comparabili e tuttavia con qualche elemento comune come, tra gli altri, l’emergere del leaderismo populista e la complicazione dei dispositivi elettorali e la conseguente lentezza delle procedure decisionali. Sommando così insieme due rischi per le nostre democrazie: quello del diffondersi di dinamiche autoritarie che ispirano nell’Ue, per ora solo in Ungheria e Polonia, “democrazie illiberali” e quello di rallentare i tempi e l’efficacia delle decisioni, come sperimentiamo in questi tempi di pandemia da Covid-19.

Come non si può liquidare Trump solo per il suo profilo di “zio matto d’America”, per rassicurarci su un nazional-populismo nostrano considerato troppo frettolosamente in declino, così non si può fare ricadere la lunga incertezza di questi giorni negli Usa solo sull’inadeguatezza di un sistema elettorale, dal quale in Europa saremmo immuni.

Fatta questa doverosa premessa, utile anche per ripensare il futuro problematico delle nostre democrazie nell’Ue, tanto ai livelli nazionali che comunitari, sarebbe bene non trascurare le altre lezioni del voto americano all’Unione europea. Cominciando col dire che non ci sarà una svolta radicale nei rapporti tra le due sponde dell’Atlantico, non solo perché l’America “profonda” resta quella ri-scoperta in questi giorni, ma anche perché la traumatica frattura politica rivelata dal risultato elettorale non consentirà un grande margine di manovra al nuovo presidente, né nella politica interna né in quella estera.

La contrastata elezione di Joe Biden, vincolato anche dalla composizione del Congresso, peserà anche sulle relazioni con l’Ue, lasciando comunque presagire alcune prime aperture con un ritorno prudente a una cultura multilaterale, a cominciare da un probabile rientro nell’accordo di Parigi sul clima e nelle agenzie Onu, e a minori tensioni all’interno della Nato, pur mantenendo la richiesta di un aumento del contributo finanziario dei Paesi europei al suo funzionamento.

Migliorerà il clima dei rapporti con la Germania, individuata come il Paese leader nell’Unione, tornerà cortese il dialogo con la Francia, meno empatico con il Regno Unito di Brexit e più distante con Polonia e Ungheria. L’Italia continuerà a essere per gli Usa un Paese alleato da tenere d’occhio per le sue aperture verso la Cina e verso la Russia, ma senza occupare un posto di rilievo nel dialogo Usa-Ue, come non lo sarà probabilmente l’area mediterranea con i suoi mille problemi.

Non bisognerà dimenticare che il fondo tendenzialmente isolazionista degli Usa si potrà stemperare con il democratico Biden, ma a prezzo di ricambiare questa moderata inflessione con alleanze sollecitate dagli Usa, che non sono sempre una garanzia per la fragile autonomia europea.

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo
Franco Chittolina, sociologo, ha lavorato per 25 anni nelle istituzioni europee

Sarà bene che l’Unione colga l’occasione dello “scampato pericolo Trump” per progredire verso l’assunzione di maggiori responsabilità anche sul fronte esterno, in particolare nel quadro della Nato, con un’accelerazione dei lavori nel suo cantiere di politica di difesa e sicurezza comune.

Molto è stata enfatizzata la prospettiva di una condivisione di valori etici e politici tra le due sponde dell’Atlantico e in parte è stato fatto per esorcizzare l’incubo Trump, forse esagerando. Si confrontano due Paesi alleati ma due società diverse, in particolare sul fronte dell’economia e su quello delle politiche sociali. È sempre bene imparare da quando accade in casa d’altri, ancora meglio restare saldamente europei. E, visto quanto capitato negli Usa, esserne fieri.

Franco Chittolina

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