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L’Italia e la provincia nel 2020: è stato l’anno della paura nera

LA FOTOGRAFIA «Meglio sudditi che morti». Una filosofia implicita, che orienta lo stato d’animo degli italiani – anche dei cuneesi – secondo il Rapporto numero 54 sulla situazione del Paese, presentato dal Censis il 4 dicembre. Ha spiegato il direttore generale dell’istituto di ricerca Massimiliano Valerii (la frase che abbiamo citato è sua) in diretta on-line: «Il 2020 è stato l’anno della paura nera: gli eventi ci hanno riportato alla nostra nuda esistenza, con l’apparizione pubblica della tematica della morte. Questa vista intollerabile è stata amplificata dal sistema dei media e resa ancora più inquietante dall’assenza di una base dati epidemiologica accurata relativamente al virus pandemico».

Valerii ha proseguito, rilevando come la nostra società abbia fin qui rimosso il concetto di dolore e miseria, mentre la salute e l’allungamento della qualità della vita sono stati considerati come un bene acquisito. Per questo l’effetto della pandemia è stato traumatico: ci si è accorti che le certezze possono essere scardinate.

«Ma il rischio più grande legato al post pandemia è di tornare come prima. L’emergenza sanitaria ha rappresentato uno straordinario fattore di accelerazione di fenomeni preesistenti nella nostra società ed economia», ha detto Valerii. L’emergenza «ha squarciato un velo sulle vulnerabilità strutturali del nostro sistema. Non ci sono più alibi per nessuno».

Le aree che non funzionano vanno dalla sanità (riduzione dei posti letto e taglio delle risorse nel corso del tempo) fino all’ambiente e alla scuola: «Ad aprile soltanto l’11% dei dirigenti scolastici poteva affermare di aver incluso tutti gli studenti nei percorsi della didattica a distanza». Oppure le differenze di genere, che persistono: «Il dato delle donne occupate nel Mezzogiorno è uguale a quello degli anni Settanta». Il direttore del Censis ha concluso: «Lo Stato è diventato un salvagente a cui aggrapparsi nel momento del massimo pericolo».

In effetti, il 73% degli italiani indica nella paura del- l’ignoto e del futuro il sentimento prevalente. Una situazione peraltro replicata nel contesto cuneese. Secondo il Dossier socioeconomico della fondazione Crc pubblicato a novembre 2020, alla fine del 2019, quindi ancor prima della pandemia, le tematiche percepite come rilevanti dai cuneesi erano la povertà grave e i problemi economici (74,1 per cento), l’occupazione e il lavoro (56,4%) e le problematiche abitative (24,7%). Con una frequenza minore comparivano i temi legati alla salute (14,2%) e alla famiglia (10,9%), ma eravano nella stagione precedente il Covid-19.

Per far fronte all’angoscia del domani legata alla povertà le famiglie italiane e cuneesi adottano una strategia di accumulo di denaro, incrementando la liquidità. Il rapporto del Censis evidenzia come i risparmi sui conti correnti siano aumentati quest’anno di 41 miliardi di euro, portando il totale a mille miliardi, una cifra che se appartenesse a uno Stato corrisponderebbe alla sesta economia europea. Si tratta di comportamenti cautelativi, che diventano l’antidoto per l’incertezza del futuro.
Eppure, ha concluso il direttore Censis Valerii, «dopo che ci saremo lasciati la pandemia alle spalle, rimarremo con l’inquietudine di prima. Il baricentro del mondo si sta spostando dall’Atlantico al Pacifico: economie che consideravamo di serie B stanno emergendo. Nella coscienza di molti si è instillata la segreta paura che prima o poi arriverà qualcuno e ci porterà via il benessere».
Ma – se qualcuno tenterà di spodestarci dal piedistallo del privilegio –l’antidoto alla paura c’è: è la solidarietà. Solo immaginandoci uniti sarà possibile produrre nuovi modi di conoscere, di percepire e costruire il mondo.

Sei su dieci rinunciano alla libertà in nome della sicurezza collettiva

Anche in provincia di Cuneo le persone possono avere l’impressione di una grande minaccia in avvicinamento e questo può influire sulla loro salute psicologica. Secondo i dati del recente Dossier socioeconomico della fondazione Cassa di risparmio di Cuneo, la Granda nel 2019 si confermava la seconda provincia piemontese dopo Torino, con una ricchezza pari a 19,5 miliardi di euro, generando circa il 14% del prodotto interno lordo del Piemonte e l’1% di quello nazionale. Ma questo benessere, sovente dato per scontato, è stato insidiato dalla pandemia.

Nel 2020 l’economia provinciale ha subito diversi contraccolpi (si vedano i servizi alle pagine 6-7) e già nel 2019, dicono i ricercatori cuneesi, in provincia esistevano «difficoltà economiche, occupazionali e di tipo abitativo. È quanto emerso dai report presentati dai Centri di ascolto delle Caritas provinciali: gli utenti nel 2019 sono stati 3.433 (+306 rispetto al 2017), principalmente costituiti da persone sole o da famiglie con minori. Solo ad Alba, durante il lockdown del 2020, la Caritas diocesana ha servito viveri a 1.375 persone, per un totale di 424 famiglie.

Queste condizioni contribuiscono a generare un clima d’inquietudine sociale, con la correlata paura che il benessere acquisito negli anni possa sgretolarsi. Quando gli individui percepiscono il pericolo di non saper fronteggiare il futuro e di vivere in una società incerta, diventano conservatori. L’emergenza ha sviscerato la parte più autocratica delle persone: secondo i dati comunicati dal Censis nel suo Rapporto sulla situazione del Paese, infatti, il 58% della popolazione si dice pronta a rinunciare alle libertà personali in nome della tutela della salute collettiva, lasciando decidere al Governo ciò che è corretto fare e ciò che è scorretto. Il 77% è convinto che chi ha sbagliato nell’emergenza debba pagare per gli errori commessi. Il 56% richiede il carcere per i contagiati che non rispettano le regole della quarantena, fino a un dato sconcertante: il 44% degli italiani vorrebbe la pena di morte introdotta nel nostro ordinamento. Secondo il direttore generale del Censis Massimo Valerii: «C’è una tensione securizzatrice che si è radicata nella società».

Contrapporsi a questa progressiva chiusura diventa un dovere morale e pratico, a partire dalle singole comunità. Tuttavia, i giovani non stanno facendo la loro parte. Nel 2019 i neonati in Italia sono stati 420.170: 148.687 in meno rispetto al 2009, vale a dire il 26,1% in meno. «L’esito è un inverno demografico che sta progressivamente rimpicciolendo il Paese», dice il Censis, che precisa: «Nel quinquennio 2014-2019 si registra oltre mezzo milione di abitanti in meno e il saldo naturale tra nascite e decessi nel 2019 ha raggiunto il record negativo di -214mila persone (era -96mila cinque anni prima). Per le madri diventare genitrici significa sacrificare la realizzazione individuale, specialmente a livello professionale: il tasso di occupazione delle madri 25-54enni è oggi pari al 57%, quello dei padri della stessa età dell’89,3%».

Matteo Viberti

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