Ponzio: per il tartufo nulla da temere se torneremo a giocare locale

TUBER MAGNATUM «Anche il Barolo si può produrre in Nepal con le cartine, certo non ha nulla a che vedere con quello dei nostri rinomati barolisti: non vedo perché per il tartufo prodotto in Francia debba essere diverso. Non abbiamo nulla da temere: anzi, il nostro prodotto risalterà, in confronto al loro, per le qualità organolettiche superiori».

Il giudizio è di Roberto Ponzio, l’ultimo in ordine di tempo a esprimersi sul tuber magnatum raccolto in Aquitania, da impianti di roverelle micorizzate: un successo scientifico annunciato (con troppa enfasi?) oltralpe e ripreso qui con clamore. Un parere da conoscitore del fungo ipogeo e del mondo che gli ruota attorno: il padre Roberto fu «re dei tartufi di Alba».

Ponzio: per il tartufo nulla da temere se torneremo a giocare locale

«Trovo che lo sbandierato successo sia assimilabile a un espediente per far aumentare il prezzo delle pianticelle micorizzate, quattro volte superiore in altri Paesi rispetto all’Italia», riprende. I dubbi si appuntano poi sui parametri di valutazione: «Mi domando se risultati così modesti (sette esemplari in due anni, nda) bastino per validare scientificamente le asserzioni. Di questi esemplari occorrerebbe conoscere, da chi li ha visti, quali siano state le sensazioni olfattive e i risultati dell’analisi organolettica».

Una sommatoria di elementi che allontanerebbe ogni rischio per la trifola di Alba, la quale, tuttavia, non può dormire sugli allori: «Abbiamo il miglior tartufo che esista ma dobbiamo tutelarlo, piantando alberi potenzialmente simbiontici, nel rispetto di quel mistero generatore legato ai caratteri del suolo. Lo stesso che l’Aquitania, area non vocata, pretenderebbe di riprodurre piantando boschi».

L’unico rischio, secondo Ponzio, è nella «volgarizzazione del tuber magnatum. In Francia, secondo il decreto del 2012, il nome commerciale del prodotto è tartufo bianco d’Alba. Una situazione paradossale, che dovrebbe farci riflettere sulla necessità di una denominazione d’origine che preservi il nostro prodotto, analogamente a quanto fatto con i vini».

Servirebbe allora un’inversione di rotta: «Togliamoci dalla testa la pretesa di creare ad Alba un marchio sotto il quale vendere anche i prodotti dell’Istria o di altri Stati, puntando sul brand: torniamo invece a privilegiare la nostra dimensione locale».

Davide Gallesio

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