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L’uso di diserbanti non aiuta neanche il paesaggio

L’uso di diserbanti non aiuta neanche il paesaggio
Vigneto trattato con diserbanti

LETTERA AL GIORNALE La pandemia ha stravolto la vita e le consuetudini di molti, ma non ha cancellato le brutte abitudini. In queste settimane, girando per le colline si vedono spettacoli poco gradevoli, con quegli interfilari tra le viti e i noccioli che sembrano bruciati da chissà quale evento traumatico. Nulla di strano, se non l’azione poco accorta di chi dà l’impressione di sentirsi padrone di tutto. Se qualcuno pensava che – durante la pandemia – il viticoltore avesse avuto più tempo per lavorare come si deve le sue vigne, ha dovuto ricredersi: proprio nelle due ultime primavere gli interventi di diserbo si sono addirittura accentuati.

L’uso di diserbanti non aiuta neanche il paesaggio
Vigneto trattato con diserbanti

Forse il ridimensionamento della forza lavoro per il vigneto ha giocato brutti scherzi, ma questo aumento del “diserbo” per tenere a bada le “infestanti” ci pare esagerato. Ma di chi è questa terra? La terra non è solo dell’uomo. È la “casa comune” di tanti esseri viventi: le erbe e milioni di altri protagonisti che con la loro attività silenziosa e costante rendono il terreno accogliente per le radici delle piante che l’uomo coltiva e che lo ricompensano con i loro frutti.

La vite sulle nostre colline non potrebbe vivere da sola: sbaglia chi pensa che la presenza delle erbe si traduca solo in una competizione alimentare o spaziale con la coltivazione vitata. La presenza del tappeto erboso ha effetti più importanti, che alla fine diventano vantaggiosi proprio per la pianta coltivata.

L’uso di diserbanti non aiuta neanche il paesaggio 1
Vigneto in cui è stata applicata la tecnica del sovescioa

I nostri padri e nonni dedicavano all’interfilare un’attenzione maggiore e, anche per necessità, lo usavano per coltivare, magari a filari alterni (a rigadìn si diceva allora), l’erba medica, i piselli, le fave e in certi anni persino il grano. Quando la vita era più difficile, il buon senso regnava di più.
Anni e anni di considerazioni riduttive, che vedevano nelle erbe spontanee dell’interfilare degli ingombri inutili, hanno creato pesanti squilibri nella composizione dei nostri suoli: in molti casi, la frazione organica si è molto impoverita, fino a scendere a livelli preoccupanti.

E pensare che una gestione autorevole del tappeto erboso è estremamente utile: come dice da tempo Ruggero Mazzilli della Stazione sperimentale viticola di Panzano in Chianti, «durante l’inverno il tappeto erboso è come un pannello solare e nelle stagioni calde si comporta come un ottimo elemento di pacciamatura in grado di aiutare la gestione delle risorse idriche nel suolo».

Ma c’è chi ha già capito la lezione. Infatti è facile vedere sulle stesse colline filari dove a primavera inoltrata vegetano rigogliose le specie più svariate di leguminose o altre erbe da sovescio, che sono state seminate e che al raggiungimento di parecchi decimetri di altezza, verranno sfalciate e lasciate sul terreno per pacciamare o interrate per accelerarne l’umificazione.

In questi casi, anche il contributo paesaggistico è importante: la fioritura di queste erbe crea vivaci macchie cromatiche che rendono più vivo e colorato il panorama delle colline che sono appena uscite dall’inverno e non hanno ancora la loro veste migliore.

Giancarlo Montaldo

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