Gianni Oliva racconta gli irriducibili di Salò nel libro La bella morte

Gianni Oliva, ad Alba, presenta la Storia del Piemonte

STORIA Gianni Oliva è tra gli storici più abili nel raccontare il passato facendo divulgazione, forte di una vita trascorsa a insegnare. Ma il suo merito è anche quello di misurarsi con alcuni dei nodi più violenti delle vicende italiane, come le foibe e gli anni del terrorismo. Lo fa nuovamente con La bella morte (Mondadori), saggio presentato venerdì scorso, 28 maggio, in videoconferenza dal Laboratorio vecchie e nuove resistenze in collaborazione con il Museo di Cisterna, l’Istituto storico della Resistenza di Asti e le associazioni Franco Casetta di Canale e Casa della memoria di Vinchio.

Professore, chi erano le donne e gli uomini che scelsero la Rsi sino all’estremo sacrificio?

«Erano giovani educati dalla retorica del Ventennio: l’onore, la fedeltà alla parola data, il rispetto dei caduti, la Patria. Su queste persone l’8 settembre ha un impatto devastante, perché rappresenta la negazione di tutto ciò in cui sono stati educati e questo determina come reazione il volontarismo saloino».

Nelle parole di Italo Calvino che lei riporta si parla di «stesso furore» tra partigiani e repubblichini. La Resistenza portava con sé un forte bisogno di cambiamento. Cosa c’era dietro al furore degli italiani che scelsero di restare fedeli al duce, proprio quando molti che nel fascismo avevano fatto carriera si preparavano a saltare il fosso?

«Dietro il furore di Salò c’è la rabbia per i voltagabbana, per i tanti profittatori di regime che dopo il 25 luglio si sono scoperti antifascisti, per gli opportunismi dei funamboli dell’abiura. C’è voglia di vendetta e punizione, prima di tutto all’interno: da lì nasce il processo di Verona e la condanna a morte di Galeazzo Ciano e dei “traditori”».

Luciano Violante e Carlo Azeglio Ciampi posero la questione dei “ragazzi di Salò”, poi vennero i libri di Pansa. C’erano però ancora protagonisti di entrambe le parti. Oggi che il tempo dei testimoni è passato è possibile ricostruire una storia condivisa e formativa della nostra guerra civile?

«La storia è e non può non essere passione civile. Anche quando le generazioni cambiano. La distanza temporale permette tuttavia di capire le ragioni di tutti che è cosa diversa dall’equiparazione. I ragazzi repubblichini di Salò erano giovani in buona fede, di cui vanno rintracciati i percorsi; i giudizi si danno sui progetti per i quali gli uomini si sono battuti, altrimenti si assolve tutto. Nel 1943-45 si sono contrapposti due progetti politici. Uno di continuità con la dittatura, la guerra, il razzismo. E un altro di rottura. Non credo esista una storia condivisa: le memorie sono per definizione plurali. Si può però arrivare a memorie che si riconoscono reciprocamente, a una storia non usata strumentalmente per ragioni di parte, ma approfondita per meglio conoscerla».

Roberto Savoiardo

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