Gli immigrati sono già tra i filari più blasonati

Gli immigrati sono già tra i filari più blasonati 1

ALBA Sembra di aver spostato indietro la lancetta del tempo a fine ottobre, con la differenza che al posto della tenda c’è un salone e che la stagione del vino non è vicina al suo epilogo. Al contrario, è appena iniziata, con numeri che non si erano registrati nello stesso periodo dello scorso anno.

Siamo tornati in via Pola, agglomerato di volti e storie a ridosso di piazza Ferrero, ad Alba. Qui si trova il Centro di prima accoglienza della Caritas, alla cui porta bussa chi non ha un tetto e i soldi per vivere. Al primo piano c’è il dormitorio, che può accogliere al massimo ventitré persone, tenendo conto delle misure di sicurezza legate all’emergenza sanitaria.

Gli immigrati sono già tra i filari più blasonati

I posti non sono sufficienti, perché da una decina di giorni stanno arrivando gruppi di giovani dai punti più remoti dell’Africa. Cercano un lavoro in agricoltura, tra le colline dei grandi vini, dove a partire da maggio si preparano le viti con diversi interventi: per questo è già scattata la ricerca di lavoratori. Il loro arrivo è l’esito del passaparola che lo scorso anno aveva portato in città i primi venti stagionali, in piena vendemmia, per i quali era stata trovata una soluzione di fortuna, allestendo una tenda all’esterno della struttura. Questa volta sono stati accolti in un salone. Per terra ci sono materassi e coperte, cuscini, zaini, scarpe, qualche indumento, sacchi neri e borse di plastica.

Nel primo giorno di sole della scorsa settimana, nel tardo pomeriggio, all’interno del salone tre ragazzi sono sdraiati con gli occhi socchiusi. Sono tra gli ultimi arrivati e sono originari del Gambia. «Sono qui per cercare lavoro in campagna. Ieri mi sono presentato a un’agenzia per vedere se c’è qualcosa», spiega in italiano uno di loro. Quando sentono la parola lavoro, anche gli altri due si alzano. E annuiscono, perché tutti sono ad Alba per il medesimo motivo. «Ho anche il curriculum, sul mio telefonino», aggiunge il primo giovane che ha parlato. In totale, nel salone dormono in ventitré. Gli altri non sono ancora rientrati, perché stanno già lavorando o sono alla ricerca di occupazione. Di fronte all’ingresso, seduto su una sedia, c’è un altro immigrato, con una camicia a quadroni. «Io non vivo qui: sono solo venuto a incontrare degli amici», tiene a precisare il giovane.

Quando sono quasi le diciotto, qualcuno inizia a rientrare. Come un ragazzo di 21 anni, meno diffidente degli altri. Conosce il centro, perché è stato uno degli ospiti della tenda allestita lo scorso anno. Ed è stato anche uno degli ultimi a ripartire, perché la cooperativa che lo aveva ingaggiato si era rifiutata di retribuirlo. Anche lui è nato in Gambia, ma la sua base in Italia è a Genova.

«Vivo vicino alla stazione Principe, insieme ad altri amici. Genova è bella, ma è troppo difficile trovare lavoro. Così viaggio di continuo, insieme ad altri come me», è quanto racconta di sé. Ma aggiunge che nella vita ha fatto molti lavori: «L’anno scorso ad Alba mi sono trovato bene e sono tornato. Ora vado al lavoro in bicicletta, in un posto vicino ad Alba», dice.

Con le mani, mima il gesto di pulire le uve. Gli chiediamo se le persone per cui lavora sono le stesse dello scorso anno, se si tratta di un’azienda o di una cooperativa. «Non so: io lavoro soltanto», è la sua sola risposta.

Francesca Pinaffo

Novanta persone che non vediamo

Se si vuole entrare nella realtà di via Pola, l’uomo con cui parlare è Sabeur. Originario della Tunisia, da otto anni è mediatore culturale al Centro di prima accoglienza di Alba. È, anzi, uno dei punti di riferimento, a cui rivolgersi.

«La mia opinione è che l’Albese potrebbe fare grandi cose in termini d’accoglienza, ma è necessaria la volontà di tutti», dice senza giri di parole. Sabeur conosce i volti che gravitano in via Pola: «Possiamo dividere le persone in tre gruppi, a partire dal dormitorio, i cui posti sono occupati ogni sera da chi ha una presenza piuttosto continuativa sul territorio. C’è poi il secondo nucleo, in questo momento rappresentato da ventitré stagionali. Per terminare con un numero imprecisato di persone che hanno trovato soluzioni di fortuna ai margini della città e arrivano per i pasti e per le altre necessità».
Sono gli invisibili. Secondo Sabeur, in questo momento sarebbero almeno venti, come i tre somali arrivati nei giorni scorsi, che hanno allestito una tenda non lontano dalla ferrovia dismessa. «Se contiamo le diverse situazioni, stiamo seguendo tra le 80 e le 90 persone. E si fa molta fatica, se si pensa che con il Covid-19 il numero di volontari è al minimo». E sulla questione degli stagionali prosegue: «Si sapeva che l’emergenza dello scorso anno si sarebbe ripetuta. Funziona così: tutto avviene con il passaparola; il 90 per cento di chi arriva ha già avuto contatti con un ipotetico datore, spesso attraverso conoscenti. Sono lavoratori che si spostano in gruppo, in modo mirato a seconda del momento della stagione».

Secondo Sabeur, ad Alba gli “invisibili” resteranno almeno fino alla vendemmia, con una pausa per la raccolta della frutta a Saluzzo, se ci sarà lavoro, viste le gelate che potrebbero aver dato un grave taglio al raccolto.

f.p.

Don Gigi: devono intervenire i Comuni del territorio Unesco

Dopo un pomeriggio passato in via Pola, solo una persona può tirare le somme: don Gigi Alessandria, il direttore del Centro di prima accoglienza. Profondo conoscitore del fenomeno migratorio, negli ultimi decenni ha assistito alle sue evoluzioni. Come per i lavoratori dell’Est, in particolare macedoni, che per anni hanno rappresentato quasi la totalità della manodopera nei vigneti.

«Oggi sono rimasti solo i nuclei che si sono stabiliti sul territorio: chi arrivava per la stagione ora guarda altrove, ai Paesi in cui gli stipendi sono migliori», dice don Gigi. È così che si è iniziato a cercare lavoratori tra i migranti di origine subsahariana. «Nella nostra area stiamo assistendo a un fenomeno nuovo, con l’arrivo d’interi gruppi. Questi movimenti ci destabilizzano: come Caritas ci siamo posti l’obiettivo di accompagnare verso l’autonomia, ma con questi numeri è difficile intraprendere i percorsi che vorremmo».

Don Gigi, insieme alla diocesi, anni fa ha scelto di far uscire la struttura di via Pola dalla rete dei centri di assistenza straordinaria (Cas) sotto l’egida della Prefettura: «Qui cerchiamo di aiutare tutti, senza limiti. Ma in questo momento non è per niente facile». Anche perché, ancora una volta, il Centro di prima accoglienza si sta facendo carico della situazione. «Non si possono chiamare in causa i servizi sociali, che per legge seguono i residenti. È chiaro che a intervenire dovrebbe essere chi governa il territorio: il Comune o più Comuni, visto che gli stagionali gravitano su Alba ma lavorano in collina». Come i suoi collaboratori, il prete sembra rassegnato: «Da trent’anni siamo sempre allo stesso punto». Dopo qualche minuto, ci ripensa: «Ci sono stati incontri con il Municipio e la Prefettura, nei mesi scorsi. Significa che si è preso atto della situazione. È già un passo in avanti, ma bisogna fare molto di più».

f.p.

Arca Maria (Caritas): dallo scorso anno pare sia cambiato davvero molto poco

Gli immigrati sono già tra i filari più blasonati 2

Un’altra persona come Sabeur (si veda l’articolo sopra), che segue da vicino i lavoratori stranieri arrivati nel Centro di accoglienza albese di via Pola è Arca Maria Sgarro. Ventotto anni, è uno dei volti del progetto Presidio, avviato dalla Caritas italiana per assicurare agli stagionali un luogo di ascolto, di orientamento e di tutela, oltre a monitorare il fenomeno. «Rispetto allo scorso anno, mi sembra sia cambiato ben poco sul fronte dell’accoglienza ad Alba, dice Arca. «La povertà in città esiste in concreto, ma si preferisce quasi non vederla». Sul suo cellulare, mostra le foto scattate qualche mese fa in una zona incolta vicinissima al centro storico. Tra gli alberi, lei e Sabeur hanno trovato il rifugio di fortuna di un gruppo di stranieri. Se si pensa che a poche centinaia di metri ci sono i ristoranti e le vetrine, il confronto è un pugno nello stomaco. Perché non vogliamo vedere? Sugli stagionali, Arca prosegue: «Per l’Albese, si tratta di un fenomeno che ha esordito in modo evidente lo scorso anno e di certo andrebbe affrontato in modo coeso a livello territoriale, per mettere in piedi un sistema di accoglienza comune ben strutturato». Computer alla mano, in questi giorni sta aiutando i ragazzi a redigere il loro curriculum o ad aggiornarlo. Tramite l’Anolf Cisl (Associazione nazionale oltre le frontiere), Confcooperative Cuneo sembra essersi resa disponibile ad attivare un meccanismo d’incrocio tra domanda e offerta, per evitare che i lavoratori finiscano in situazioni dai contorni poco chiari.

f.p.

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