Nella Pampa d’oltreoceano si trova un altro Piemonte

Gruppi di piemontesi nel mondo si sono incontrati nel primo congresso virtuale

Nella Pampa d'oltreoceano si trova un altro Piemonte
Il Museo dell'emigrazione di Frossasco ospita la sede dell'associazione dei Piemontesi nel mondo.

Sono quasi duecento i gruppi che hanno partecipato al primo congresso internazionale dei piemontesi, organizzato dalla Fapa (Federacion asociaciones piemontesas argentinas), in collaborazione con la Regione Piemonte. L’incontro si è svolto su una piattaforma virtuale da venerdì 11 a domenica 13. I partecipanti risiedono in ventisei Paesi: oltre all’Argentina, che da sola raggruppa quasi la metà dei sodalizi, ci sono Australia, Brasile, Cile, Canada, Cina, Costa Rica, Francia, Belgio, Regno Unito, Spagna, Stati Uniti, Uruguay, Venezuela, Svizzera, Perù, Nicaragua, Russia, Nuova Zelanda, Romania, Repubblica Dominicana, Paraguay, Zambia, Messico, Giappone, Albania. All’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero) sono iscritti quasi trecentomila piemontesi: in provincia di Cuneo sono 56.360.

Al raduno hanno partecipato da 26 paesi. Anche il papa ha inviato i saluti

Ai saluti istituzionali del presidente Alberto Cirio è seguita la lettura di quelli inviati da papa Francesco, figlio di padre piemontese. Sulle radici del Papa, Orsola Appendino di Pralormo e Gianfranco Libert hanno pubblicato Nonna Rosa. La roccia delle Langhe. Gli autori hanno scritto anche altri testi legati alle vicende dei piemontesi d’Argentina. Spiega Appendino: «Faccio parte del comitato del gemellaggio di Carmagnola con Rio Tercero dal 2008. Dalla Granda abbiamo avuto una forte emigrazione verso l’Argentina. Posso affermare che ci sono molti più pralormesi nella Pampa che sul Pianalto».

Scorrendo l’elenco, si nota che i Comuni della nostra regione gemellati con il Paese sudamericano sono 62, dei quali 24 cuneesi. Tra Langhe e Roero ci sono Bra (con Corral de Bustos), Feisoglio (San Antonio de Litin), Monticello (Sastre), Santo Stefano Belbo (Galvez). La scrittrice è stata in molte di queste città, toccando con mano l’eredità delle comunità espatriate: «In Argentina ho presentato libri e conosciuto le associazioni di connazionali. San Francisco de Cordoba è un po’ la capitale dei piemontesi d’Argentina. Tra i piemontesi emigrati ricordo Pasquale Toso, che tornò a Canale per fondare l’ospedale, ora diventato una casa di riposo».

Le aree con un’alta immigrazione dalla nostra regione sono Cordoba e Santa Fe

La vicepresidente del Museo dell’emigrazione di Frossasco, Luciana Genero, racconta: «Il raduno si sarebbe dovuto tenere lo scorso anno a San Francisco de Cordoba, in concomitanza con il sesto congresso dei piemontesi d’Argentina. Le associazioni hanno illustrato le loro iniziative, proponendo musica e mostre fotografiche. È stata una piacevole sorpresa anche per noi vedere riuniti i piemontesi di tutto il mondo. L’obiettivo è, ora, coinvolgere anche i più giovani nel mantenimento delle radici degli antenati. In Argentina questi valori sono ancora molto forti, tuttavia c’è il rischio che scompaiano: in alcuni Comuni, come Cordoba e Santa Fe, l’identità piemontese è maggiormente sentita, in altri invece molto meno. Nei grandi centri si confonde talvolta con una generica italianità. Un elemento importante di coesione nelle feste organizzate dalle comunità piemontesi resta la bagna caoda. Ogni anno riceviamo gli auguri per il 25 aprile e il 2 giugno, ricorrenze molto sentite oltreoceano»

Liliana Mollo, viceconsole onoraria a San Luis

Tra i discendenti di piemontesi in Argentina, una delle più intraprendenti è Liliana Mollo. Con la doppia cittadinanza per ius sanguinis, è iscritta all’Aire a Sommariva Perno, Comune d’origine del nonno paterno. La nonna paterna era di Cavallerleone, mentre i nonni materni di Villar San Costanzo. Quattro quarti di cuneesità nelle origini della donna. Liliana è viceconsole onorario e docente di italiano all’Università di San Luis. Negli anni, ha partecipato a più programmi di scambio in Italia.

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I due adulti in piedi sono Francesco Mollo e Margherita Gianolio, emigrati dalla Granda verso l’Argentina. I tre bambini sono i figli Giuseppe, Giovanni e Giacomo. Quest’ultimo è il padre di Liliana Mollo.

Racconta Liliana: «Mio nonno paterno combatté nella Prima guerra mondiale prima di giungere in Argentina, mentre il materno arrivò nel 1924. Le mie nonne, invece, erano già qui. Erano tutti contadini e, sapendo lavorare la terra, furono indirizzati dall’ufficio immigrazione nella provincia di Santa Fe, nella pampa gringa, per essere impiegati come braccianti e mezzadri. Rispetto all’Italia di quegli anni, in Argentina il cibo non mancava, anche se le condizioni di vita degli immigrati erano comunque precarie: c’era molta discriminazione, come sempre succede in questi casi. Sembra, infatti, che l’essere umano non accetti mai chi è diverso». L’allora Governo forniva alcune garanzie, come la sicurezza di un posto di lavoro, ma non mancavano i problemi legati alle dure condizioni e alle discriminazioni.

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Cena conviviale in cui la famiglia della viceconsole (i genitori sono in primo piano, davanti a lei c’è il figlio) si appresta a mangiare la bagna caoda, piatto tradizionale della comunità di piemontesi emigrati in Argentina.

Continua la donna: « Il Paese fioriva grazie all’esportazione di materie prime alimentari ottenute dalla grande estensione dei territori coltivabili e al clima favorevole. I terreni, però, appartenevano ai discendenti dei primi colonizzatori spagnoli e gli immigrati erano discriminati poiché stranieri, semianalfabeti e contadini. Mio nonno ha mai avuto un suo pezzo di terra. Soltanto con la riforma agraria attuata dal presidente Peron mio padre e i miei zii poterono diventare proprietari. Oggi la situazione è ben diversa, mia nonna diceva sempre che ora l’Argentina è un giardino, mentre quando arrivò non le piaceva e, per questo, piangeva».

«I figli degli emigrati erano incoraggiati a parlare solo lo spagnolo»

Nella regione di Santa Fe, spiega la viceconsole, gli emigrati dal Piemonte erano la maggioranza. «I miei nonni parlavano solo in piemontese, ma hanno incoraggiato i loro figli a imparare bene lo spagnolo per non subire le discriminazioni toccate a loro, arrivando a sforzarsi di esprimersi nella lingua ufficiale del Paese con i loro cari. Sono rimaste, comunque, nel gergo familiare, alcune parole prese direttamente dal piemontese. Abbiamo sempre continuato a scrivere lettere e a riceverne dai parenti italiani e, per questo, non abbiamo perso i legami».

Proprio il collegamento con la terra d’origine ha permesso a Liliana di avviarsi verso una brillante carriera: «Mio padre ha voluto che imparassi l’italiano. Ho così frequentato la Dante Alighieri e completato l’intero ciclo scolastico nella lingua d’origine della mia famiglia. Questo mi ha permesso di insegnare all’Università e coordinare l’Istituto di lingue. Faccio parte della commissione che valuta gli esami internazionali in italiano. In seguito ho iniziato a collaborare con il consolato di Mendoza, che alcuni anni dopo mi ha nominata viceconsole onorario».

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La donna impegnata nella preparazione della bagna caoda in una festa piemontese a San Luis.

Per l’associazionismo piemontese, Liliana Mollo ha fondato il comitato di Villa Mercedes, seconda città della provincia di San Luis, dove Liliana si è trasferita da Santa Fe nel 1986. Spiega la donna: «Sento di appartenere a entrambi i Paesi. Ho visitato l’Italia per la prima volta nel 1994, grazie a una borsa di studio all’Università per stranieri di Perugia. Nell’occasione ho conosciuto tutti i miei parenti piemontesi. Tre anni dopo ho portato anche i miei figli e, nel 1999, ho partecipato al primo raduno dei piemontesi provenienti da tutto il mondo, svoltosi a Torino. Nelle feste piemontesi che organizziamo nella mia città, sono anche l’addetta alla preparazione della bagna caoda».

Italia, l’eredità da trasmettere

Con Liliana Mollo abbiamo fatto il punto della situazione sull’eredità culturale italiana in Argentina e sulle associazioni di provenienza regionale.

Liliana, quanto ha influito l’italiano sulla lingua spagnola parlata nel suo Paese?

«Essendo insegnante di lingue, parlo spesso di questo con i miei alunni. L’italiano e i diversi dialetti hanno certamente avuto una grande influenza, basti pensare che qui esistono parole sconosciute ad altri popoli ispanofoni. Ma sono soprattutto l’intonazione e l’accento a essere stati più contaminati».

Prima di conoscere l’Italia personalmente, che idea ne aveva?

«In generale, qui in Argentina c’è un’opinione molto romantica sull’Italia e sugli italiani. Si pensa di solito alla terra che lasciarono i nostri nonni come un mondo incantato, quando invece le condizioni che portarono a emigrare furono tragiche. Inoltre, pochi sanno com’è l’Italia di oggi. Visitando la Penisola per molti anni, la mia visione è diventata più obiettiva, anche se non so più distinguere quale idea avessi prima».

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I Mollo d’Argentina riuniti in occasione della visita della cugina di Sommariva Perno Clara Maunero (prima da destra).
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Da sinistra: Maria Mollo, prozia di Liliana, durante il loro incontro negli anni Novanta a Racconigi.

Come vede la realtà dell’associazionismo piemontese cresciuto nell’Argentina di oggi?

«I legami con la terra d’origine trasmessi tramite questi enti sono attualmente, nella mia opinione, molto scadenti. I più anziani non sono riusciti a far capire le complesse vicende economiche e sociali che hanno determinato i flussi migratori. I giovani, quindi, vedono i sodalizi e le feste organizzate solo come un evento folcloristico in cui si può mangiare cibo italiano e ballare musiche tradizionali».

Quali potrebbero essere le soluzioni per coinvolgere maggiormente le nuove generazioni?

«Bisognerebbe mettere in atto una corretta divulgazione sul fenomeno migratorio e sulla realtà dell’Italia di ieri e di oggi. Avviare nuovi gemellaggi tra le città potrebbe  essere una buona soluzione, a patto che la gestione sia corretta e non continuino a essere, come anni fa, soltanto un’occasione per fare del turismo. Le scuole, inoltre, andrebbero coinvolte di più in progetti formativi».

Venticinque milioni di argentini discendono da italiani

L’Argentina ha accolto, tra il 1876 e il 1976, quasi tre milioni di italiani. Se si considerano coloro che ritornarono in patria, il saldo positivo è di circa due milioni e duecentomila persone. In totale partirono, dall’Italia verso vari angoli del mondo, più di venti milioni di emigrati. Il grosso dell’ondata migratoria si ebbe tra il 1871 e il 1930. Dopo quella data, il regime fascista impose limiti alle partenze e, nello stesso tempo, alcuni Paesi introdussero quote di immigrati a seconda della provenienza. Secondo alcune stime, oggi i discendenti degli italiani in Argentina sarebbero circa venticinque milioni. Molti di loro sono in possesso della doppia cittadinanza e quasi novecentomila sono iscritti all’Aire.

Davide Barile

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