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Il canale della Manica sempre più largo e profondo

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo 1

UNIONE EUROPEA C’è in Europa, tra le due sponde della Manica, una partita molto più seria che non quella giocata allo stadio di Wembley, nell’incontro-scontro tra l’Inghilterra, solo un pezzo del Regno Unito, e l’Italia, un importante pezzo chiamato a rappresentare l’Unione Europea, con il felice risultato finale che conosciamo.

Per oltre quattro anni l’Unione Europea è stata alle prese con le nefaste conseguenze dell’azzardato referendum di Brexit del giugno 2016 e solo a fine 2020 è stato raggiunto tra le due parti un accordo che dire fragile è molto riduttivo.

L’obiettivo per il Regno Unito era quello di ritrovare una presunta sovranità perduta e riproporsi come una media potenza con ambizioni mondiali, non solo nel commercio ma anche manifestando pericolose ambizioni militari, come avvenuto con colori grotteschi nella contesa sulle acque di pesca tra britannici e francesi e, con qualche brivido in più, inviando consistenti forze marine nelle acque di fronte all’Asia.

Nei patti era convenuto che Regno Unito e Unione Europea avrebbero trovato un’intesa per tenere insieme questa voglia di indipendenza britannica con il rispetto delle regole della concorrenza previste dal mercato unico europeo. Non è questo il clima in cui si sta gestendo questa separazione consensuale, firmata con il coltello tra i denti. Ne è stata un’ennesima prova la scaramuccia sul mancato controllo delle carni tra una delle frontiere tra l’Unione e il Regno Unito: quella che era stato improvvidamente deciso di fare passare nel mare tra l’isola britannica e l’Irlanda del Nord, quasi si trattasse di due Paesi sovrani, con il rischio o di avvicinare l’Irlanda del Nord a quella del Sud, fino ad arrivare a una riunificazione, o di alimentare nuove pericolose tensioni tra le due parti dell’isola.

Si sta ormai confermando, da parte del premier Boris Johnson, un atteggiamento molto disinvolto quanto al rispetto degli accordi convenuti con l’Unione Europea, in presenza decisioni che calpestano anche gli accordi previsti dalle stesse leggi britanniche.

È il caso degli aiuti internazionali in favore dei Paesi in difficoltà economiche. Una legge del 2015 stabiliva l’obbligo, confermato dal Partito conservatore di Johnson nel 2019, di destinare lo 0,7% della ricchezza nazionale (Pil) a quei Paesi. Tra le proteste del partito laburista, della Chiesa di Inghilterra e di numerose organizzazioni non governative, come Oxfam e Christian aid, il governo ha ottenuto da un Parlamento diviso di portare quella quota allo 0,5%, con una riduzione di 4 miliardi di sterline.

Tutto questo mentre l’Unione Europea sta dando prova di solidarietà non solo al proprio interno con strumenti come il Piano per la ripresa (Recovery fund) e destinando metà della sua produzione di vaccini ai Paesi in difficoltà, forniture ancora largamente insufficienti che si spera possano essere rafforzate, se possibile con una deroga provvisoria sulla proprietà dei brevetti.

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo
Franco Chittolina, sociologo, ha lavorato per 25 anni nelle istituzioni europee

Non è una novità la diversa cultura sociale tra le due sponde della Manica. Fortunatamente ci siamo lasciati alle spalle i tempi in cui Londra bloccava sistematicamente ogni misura sociale proposta dall’Ue, al punto che difficilmente avremo avuto quel Recovery fund se ci fosse stata la presenza britannica al tavolo del Consiglio europeo nel luglio 2020.

Stupisce infine che un Paese che punta a un più forte ruolo nel mondo, nostalgico di un passato imperiale, non colga la contraddizione tra le sue ambizioni e le sue politiche, che rischiano di “isolare l’isola” più di quanto già non avvenga, non solo dall’Unione Europea ma anche a livello internazionale.

Franco Chittolina

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