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Affermiamo la cultura della vita, non quella dello scarto

La socio-assistenza costa oltre 7 milioni

DOCUMENTO CEP  La raccolta referendaria di firme per l’eutanasia legale in Italia sta procedendo celermente (già ampiamente superato il quorum delle 500mila firme) e con essa le polemiche e le perplessità suscitate dalla questione etica sottesa. Nello slogan “liberi fino alla fine” si ribadisce il principio di autonomia e autodeterminazione ampiamente e tristemente diffuso nel nostro tempo. Uno Stato democratico si rivela maturo quando coniuga libertà e responsabilità, difende e tutela la vita fragile in tutte le sue fasi biologiche e condizioni. Ribadire tali concetti non significa sostenere il vitalismo a oltranza, ma sottolineare l’inviolabilità e la dignità umana in tutte le sue forme ed espressioni.

È necessario porre in essere una riflessione che coinvolga tutte le componenti sociali, non solo medici e sanitari, ma anche Istituzioni e cittadini. La pandemia ha nuovamente posto la finitudine al centro delle nostre esistenze e, partendo da ciò, rimosso il tabù della morte. Questi i presupposti inalienabili per ricostruire dei principi di cura che non cadano nella medicina difensiva e nell’accanimento terapeutico, ma sappiano rielaborare una relazione che ponga il malato al centro. Curare infatti non significa sempre e soltanto guarire, ma anche e soprattutto prendersi cura.

Alla luce di tutto ciò si devono rileggere eutanasia e suicidio assistito che diventano non l’affermazione di un diritto, ma la dimostrazione di quanto sia difficile ma importante il rapporto medico paziente, per realizzare un rapporto fiduciale e una vera e autentica alleanza terapeutica. Alla “cultura dello scarto” deve essere contrapposta la “cultura della vita” attraverso un percorso di umanizzazione, evangelizzazione e ricerca di senso.

Consulta regionale Pastorale della salute
† Marco Brunetti, vescovo delegato Cep
don Domenico Bertorello, incaricato regionale

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