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Abitare il piemontese: la parola della settimana è Paltò

"Mica", un termine piemontese che significa "pagnotta", ma anche "Ogni"

PALTÒ Cappotto, pastrano, soprabito.

Le temperature sono precipitate nel giro di poco tempo e il presagio è che continuino ad abbassarsi. Parliamo allora di ciò che protegge dal freddo, con dignità: il paltò. Sì, pur sempre un indumento, ma la storia del paltò s’intreccia a una moltitudine di eventi e relazioni: inverni freddi e viaggi, auto polverose e pellicole cinematografiche, guerre devastanti e rinascite economiche. Il paltò (in alcuni casi pastran) serve dunque a coprire, rappresentare, raccontare ed esprimere gratitudine.
Si ritiene che il paletot francese, soprabito borghese per eccellenza dell’Ottocento, derivi da un antico cappotto romano, passando per un cappotto spagnolo il paletoque. Furono gli inglesi a stabilire che il cappotto dovesse arrivare fino alla caviglia, ma nel 1920 s’iniziò a chiamare paletot qualunque cappotto a doppiopetto. Anche in inglese medio paltok significa giubbone o giacca corta. Interessante il confronto con l’olandese paltsrok, ovvero abito per il pellegrino, colui che viaggia.

Diffuso in molte lingue e dialetti europei sotto varie forme, il termine paltò entra nell’italiano come prestito interno dopo il 1830, definito «specie mezzana tra soprabito e pastrano». A seconda della qualità e della spesa, il paltò presenta un collo di velluto o di pelliccia. Per questo, con il tempo il cappotto venne sempre più considerato prezioso, da conservare nel tempo, la cui scelta rappresentava un evento unico da condividere con tutta la famiglia. Ben presto divenne uno strumento di valorizzazione della persona, simbolo distintivo di eleganza, per i giorni di festa. I più noti personaggi lo hanno indossato all’apice della loro carriera.
Il paltò ha significato (e lo fa ancor oggi) anche una funzione sociale che culmina nell’espressione di dignità distinguendo, specie per la società rurale piemontese, la circostanza di festa da quella lavorativa. Non per niente il paltò rappresentava, nella migliore delle ipotesi, la ricompensa destinata al bacialé, appena la mediazione di matrimonio tra un ragazzo e una ragazza di diverse famiglie andava a buon fine. Quell’indumento gli avrebbe garantito riconoscenza, merito e soprattutto la garanzia di stare al caldo.

Paolo Tibaldi

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