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Primo Culasso, uno studioso del piemontese

IL COLLOQUIO Primo Culasso e il dialetto piemontese sono una cosa sola, nel senso che uno ha fatto del bene all’altro. Lo dice Primo, nato ottantatré anni fa al Cappelletto di Trezzo Tinella: «Per me il piemontese è sempre stato importante, mi ha formato ed è stato una grande fonte di ispirazione».

E lui, a sua volta, ha dedicato gli ultimi trent’anni a preservare e a custodire il patrimonio linguistico di Alba, Bra, Langhe e Roero: nel 2003 ha pubblicato la prima edizione di Rastlèire, vocabolario piemontese-italiano da dodicimila parole, frutto del lavoro portato avanti con Silvio Viberti, studioso del dialetto originario di La Morra, mancato nel 2018; con il giornalista Giancarlo Montaldo, ha pubblicato Piantra lì!, dedicato al racconto della vite e del vino attraverso approfondimenti e proverbi, e Dësgròpte, che raccoglie modi di dire in piemontese tipici del mondo contadino del passato; nel 2017, con lo studioso e docente albese Oreste Cavallo, ha scritto Salvomje!, che mette nero su bianco un lungo elenco di proverbi di Langhe e Roero, tradotti e spiegati.

Primo Culasso, uno studioso del piemontese

Sono tutte pagine che conducono in un mondo di parole scritte con accenti che in italiano non si utilizzano, trattini e punti esclamativi. Perché il piemontese è così: strabordante e ironico, ma anche profondo ed estremamente fantasioso, capace di evocare immagini oniriche per descrivere concetti concreti.

Lo si capisce subito dall’approccio di Primo, che non si è mai avvicinato allo studio della materia come un freddo teorico, ma come chi sviluppa l’interesse di approfondire e proteggere ciò che da sempre gli appartiene, con entusiasmo e naturalezza.

«Come sono diventato uno studioso del piemontese? Il primo merito va senza dubbio al mio bagaglio familiare: a casa mia, al Cappelletto, si parlava il piemontese della Malora di Beppe Fenoglio. E, dal momento che sono sempre stato curioso, alla fine ho incominciato a raccogliere parole».

Nel 1992, dopo trentotto anni in Ferrero come contabile industriale, è andato in pensione e ha potuto dedicarsi al cento per cento alla sua passione: «Insieme a Viberti e con tanti amici che mi hanno aiutato, in dodici anni abbiamo realizzato il vocabolario, che poi ho aggiornato in una seconda versione, aggiungendo altri 1.200 termini. Nel titolo, precisiamo che si tratta del piemontese di Alba, Bra, Langhe e Roero, perché andiamo oltre ai confini territoriali e alle differenze più o meno evidenti che ci possono essere tra le varie zone, dalla “z” dei cortemiliesi alle piccole variazioni tipiche della sinistra Tanaro».

Ma se parlare e pronunciare il dialetto è già un’impresa, scriverlo lo è ancora di più: «Ci vuole tanto impegno, anche perché spesso esistono più versioni della stessa parola. Quando ho cominciato a lavorare al vocabolario, ho prima di tutto studiato la grammatica».

E, a proposito di lettori, c’è un estimatore particolare del piemontese, che ha gioito alla vista del vocabolario: papa Francesco, la cui famiglia ha origini langhette.

«Quando nel 2017 l’allora sindaco di Alba Maurizio Marello con una delegazione andò in Vaticano per consegnare a papa Francesco un tartufo e altri prodotti locali, ebbi l’idea di fargli avere in regalo una copia di Rastlèire: mi dissero poi che, quando lo vide, gli occhi del Pontefice si riempirono di entusiasmo: sicuramente da bambino avrà sentito parlare il piemontese dai suoi nonni emigrati in Argentina».

Oltre al forte valore linguistico, il dialetto ha la capacità di ricordare ciò che è stato e che ha contribuito a costruire il presente.

«Certo, mi piacerebbe che oggi si recuperasse il piemontese, anche da parte dei giovani, ma penso che sia molto difficile. Spero di aver fatto la mia parte affinché questo patrimonio non venga dimenticato», dice Primo, che è stato anche docente di dialetto per l’associazione Arvangia.

Per quanto riguarda la sua vita, continua a vivere ad Alba, anche se torna quasi ogni giorno a Trezzo Tinella per coltivare il suo museo botanico, un’altra passione che porta avanti da sempre.

Attivo su Facebook, prosegue nello studio della lingua e della tradizione: «Ho sempre nuove aspirazioni. Da anni mi chiedono di scrivere un vocabolario italiano-piemontese, ma sarebbe molto complesso: per una parola in dialetto ce ne vorrebbero cinque nella nostra lingua. Diciamo che potrebbero esserci altri progetti all’orizzonte».

Perché, come dice lui, «finché ce n’è, è vita».

Francesca Pinaffo

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