Ultime notizie

Come si fa a fermare la spirale della guerra se si continuano a produrre e fornire armi?

Ucraina e Russia. Aldo Ferrari (Ca’ Foscari): «Se non si tratta il rischio guerra c’è e aumenta»

LETTERA AL GIORNALE Gentile direttore, l’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina ci lascia sorpresi e sgomenti. Si tratta di una guerra che sentiamo vicina, perché persone ucraine vivono nelle nostre case dove accudiscono i nostri anziani, o sono colleghi di lavoro con cui scherziamo e condividiamo molte ore della giornata. Perché il popolo ucraino, al pari di quello russo, nonostante sia lontano per molti aspetti dal nostro Mediterraneo, appartiene alla comune radice europea.

Perché non ci si può voltare davanti a un’azione che ci riporta tutti a un momento della storia che sentiamo partecipe ma lontano, quando la volontà di sopraffazione muoveva la politica estera, esistevano Ministeri della guerra e la Resistenza determinava il valore di individui e popoli.

La comunità internazionale in queste settimane si è stretta attorno al Paese colpito, mettendo in campo sanzioni economiche mai viste prima, possibili grazie alla tecnologia e alla interconnessione tra i capitali, che colpiscono gli oligarchi e la popolazione, condizionandone nel medio-lungo periodo le scelte politiche. L’Unione europea, che tante volte si è divisa in base alle necessità dei singoli Stati, ha lodevolmente dato di sé un senso veramente comune alla sua politica estera.

La Russia ne esce isolata da ogni possibile consesso e il suo presidente viene presentato come un vecchio imbolsito in balìa di manie di accerchiamento e deliri zaristi. Eppure il Putin che oggi fa così paura è lo stesso che, quando era ancora sconosciuto anche ai suoi concittadini, macellava il popolo ceceno in nome della lotta al terrorismo. Che è stato il mandante politico della morte e della carcerazione di giornalisti, attivisti, oppositori.

È lo stesso a cui guardavano molti populisti di questa e dell’altra parte dell’Atlantico, da Trump a certi esponenti della Lega. E lasciamo stare, per carità di Patria, l’amicizia personale con Berlusconi. Con lui la Russia si è aperta alla globalizzazione ma cambiando le parole al vecchio inno sovietico ha mantenuto il metodo illiberale e oscurantista nella forma di Governo.

Mentre sui nostri balconi tornano le bandiere arcobaleno, i Governi da circa una settimana hanno annunciato anche l’invio di armi a sostegno dell’Ucraina. Certo, da un punto di vista emotivo questo appare giusto: non facevano lo stesso gli inglesi al tempo di Fenoglio? Tuttavia negli ultimi anni fornire armi a insorti non ha mai favorito la liberazione di un Paese: non certamente in Libia e meno che mai in Siria. In Afghanistan nemmeno l’esercito formato in vent’anni di addestramento ha retto all’avanzata dei Talebani in motocicletta.

Certo l’Ucraina ha ancora al momento un esercito, capace di episodi di eroismo. Tuttavia il rischio di una balcanizzazione del territorio, dove esistono effettivamente gruppi paramilitari nazionalisti e neofascisti che in tempi recenti si sono macchiati di decine di azioni e uccisioni ai danni della parte russa della popolazione, rischia di trascinare ancora più a lungo l’instabilità e di portare a una guerriglia i cui effetti ricadrebbero sui civili più indifesi. La Russia va condannata, portata con ogni mezzo economico e diplomatico sulla strada del diritto internazionale dei popoli.
Ma l’Occidente deve a sua volta domandarsi il senso di scelte che possono essere giustificabili sul momento ma funzionali più a lavarsi la coscienza che a risolvere il conflitto. E forse varrebbe la pena chiedersi le responsabilità della Nato, che all’indomani della guerra in Jugoslavia ha iniziato ad allargarsi sempre più tra i Paesi dell’Est, offrendo l’occasione a un Paese che economicamente si regge sul gas, ma che resta una potenza militare e nucleare, di sentirsi potenzialmente in pericolo.

Davanti alle sfide globali, che abbiamo momentaneamente accantonato, prima tra tutte quella ambientale, non sarebbe meglio investire sulle Nazioni Unite, riformandone in parte la struttura? Non saremmo più sicuri, noi europei, se scegliessimo con coraggio una politica estera e di difesa comune fondata non sulla deterrenza ma sulla denuclearizzazione militare? Come si può pensare la pace in un mondo che va verso una nuova divisione in blocchi contrapposti? La ringrazio se vorrà darmi un’opinione.

Roberto Savoiardo, Vezza

Banner Gazzetta d'Alba