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Rispettare il Dolcetto è rispettare la biodiversità

Rispettare il Dolcetto è rispettare la biodiversità

ENOLOGIA So di essere partigiano nel sostenere le sorti e i diritti del Dolcetto in tutte le declinazioni di denominazione di origine, ma in questa mia convinzione trovo molti elementi di aiuto, a cominciare dal fatto che la bontà di questo vino ha convinto tantissime generazioni. Se non fosse stato un prodotto buono e convincente, il Dolcetto non si sarebbe affermato come vino ideale per la tavola di tutti i giorni.

E non è vero che ha ottenuto risultati così lusinghieri perché costava meno di altri vini. Il fatto che richieda spazi specifici ben selezionati, il rigore elevato di cui ha bisogno la sua coltivazione, le attenzioni continue che pretende nelle fasi di vinificazione e maturazione sono fattori di costo aggiuntivo. Per queste ragioni, un Dolcetto buono, di qualsiasi denominazione, dovrebbe costare più di qualsiasi altro vino di eguale gioventù e fragranza.

Nella realtà questo non capita: non è colpa del vino in sé ma piuttosto del suo settore produttivo, che da troppo tempo non è abbastanza convinto della ricchezza complessiva del prodotto.
Abbiamo provato a delineare il profilo di chi consuma vino Dolcetto con Gianluca Gallo, direttore vendite della Cantina di Clavesana; nel consorzio Barolo Barbaresco Alba Langhe Dogliani è responsabile del Comitato tecnico del Dogliani.

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Gianluca Gallo

«Le figure che consumano questo vino sono molteplici. A cominciare dal consumatore affezionato, residente in aree ben specifiche come il Nord ovest d’Italia, ma senza trascurare per esempio aree urbane come Roma. Ma c’è anche un consumatore giovane, di solito curioso, che si lascia affascinare dai caratteri immediati del vino. Forse il consumatore più ostico è la persona di mezza età, spesso più influenzata dalla moda del momento più che dai propri orientamenti di gradimento. In molti casi il limite fondamentale è la conoscenza: nonostante i progressi degli ultimi decenni, c’è ancora molta approssimazione tra i consumatori e questo dipende anche dal fatto che, ogni otto-dieci anni, sia necessario ricominciare da capo a raccontare i vini alle nuove generazioni».

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Luca Casavecchia

Anche i caratteri stessi del vino possono costituire elementi di freno. Al riguardo appare utile la riflessione di Luca Casavecchia che nel consorzio dei vini albesi presiede il Comitato tecnico del Diano: «Il Dolcetto, il Diano d’Alba incluso, è spesso accusato di una tannicità esagerata, che crea problemi nella fase di assaggio. Poi, vai a vedere e scopri che gli stessi consumatori bevono quantità elevate di Langhe Nebbiolo giovane, che non è certo immune dalla presenza del tannino. Probabilmente le mode del momento influenzano le propensioni al consumo più di quanto non possiamo immaginare: in questo periodo storico il Langhe Nebbiolo è sulla cresta dell’onda».

A mettere ulteriormente il dito nella piaga ci pensa Enzo Brezza, produttore a Barolo e responsabile del Comitato tecnico del Dolcetto d’Alba. È esplicito: «Ultimamente il Dolcetto ha avuto tanti avversari, anche accaniti. A cominciare dai luoghi in cui sono state piantate le vigne, non sempre adatte alle sue esigenze. Andrebbe collocato sulle colline più alte, dove il caldo è meno intenso e la maturazione più lenta. E nella fase di consumo ha subìto molta concorrenza: Nebbiolo o Barbera giovani, spumanti e frizzanti. Negli aperitivi e con i piatti di entrata, molti scartano il Dolcetto e preferiscono altro, dimenticando la vera funzione del Dolcetto come bevanda di accompagnamento: crea un ingresso gentile e prepara lo stomaco al cibo e agli altri vini».

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Enzo Brezza

Recentemente gli impianti di Dolcetto sono ancora diminuiti, ma non tutto il male vien per nuocere: chi lo ha espiantato lo ha fatto perché non credeva nelle potenzialità di questo vino. Ma il Dolcetto ha bisogno di gente convinta al suo fianco, anche tra i produttori. Il suo è un rapporto passionale. E se non c’è la passione, con il Dolcetto non si va da nessuna parte.

Giancarlo Montaldo

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