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Abitare il piemontese: la parola della settimana è Gionteje

Abitare il piemontese: la parola della settimana è Gionteje
A Paolo Tibaldi sarà affidata una lettura animata.

ABITARE IL PIEMONTESE Tra gli obiettivi prioritari della civiltà contadina c’è quello di tenersi alla larga dalla parola di oggi: gionteje (pronuncia: giunteie). Si tratta di un verbo proposto volutamente nella forma riflessiva. Gionté è ben diverso da gionteje: il primo significa aggiungere, addizionare, mettere. Gionteje invece ha quel retrogusto più amaro, al ribasso, dove vale sì la radice di gionté, ma è un rimetterci di tasca propria (gionteje dëȓ sò, aggiungere a quello che manca), avere così una perdita tale da figurarsi l’individuo porre il proprio denaro dov’è stata generata la perdita.

La matrice è dal latino iunctam, participio passato di iungere nel significato di aggiungere, congiungere, confrontabile anche con il provenzale joncha. Del resto, la gionta è una toppa, un rappezzo per ingrandire un tessuto o una veste. Gionta è anche il collegio di più persone che si riuniscono e in qualche modo giungono insieme. Il verbo gionteje ha dunque a che vedere con quella che oggi chiamano sfera economica. Sentivo parlare due persone che lamentavano di non aver mangiato bene in un certo ristorante e le fila del discorso sono state tirate con la classica esclamazione ‘se fan paȓèj ȓ’han mach da gionteje’ (se fanno così non possono che rimetterci, poiché perderanno la clientela).

È il caso di citare Ma il mio amore è Paco, meraviglioso racconto di Beppe Fenoglio, di cui quest’anno si celebra il centenario dalla nascita. Una notte in osteria durante una partita alle carte un po’ eccessiva, il protagonista perde tutto ciò che ha, addirittura s’indebita. In piemontese si direbbe che o ȓ’ha giontàje fin-a ȓa stȓà a ndé cà, ovvero il danno è così cospicuo da aver perso, oltre tutto e in maniera figurata, addirittura la strada per tornare a casa.

C’è un modo di dire che penso sia stato generato dal timore di gionteje; questo è ten-e da cont (tenere da conto, custodire con attenzione e parsimonia), un modo di dire tipico di chi ha visto tempi così bui che non vorrebbe farsi trovare impreparato se dovessero tornare. Una forma mentis di una saggezza incommensurabile.

Paolo Tibaldi

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