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Il caporalato nella Granda esiste, lo ha detto una sentenza storica

Foto di repertorio.

IL CASO  È stato definito “caporalato grigio”, perché è più sfumato e resta maggiormente nell’ombra rispetto ai contorni che il fenomeno assume in altre zone d’Italia: è il motivo per cui è ancora più difficile da portare alla luce. Ma gli elementi dello sfruttamento e dell’intermediazione di manodopera sono presenti, eccome, ai sensi dell’articolo 603 bis del Codice penale.

Al di là delle posizioni assunte anche di recente da alcune sigle sindacali, lo certifica una sentenza del Tribunale di Cuneo, che si è pronunciato nel primo processo per caporalato della provincia, uno dei primi anche nel Nord Italia. La sentenza dei giorni scorsi da molte parti è stata definita storica, pure se mancano ancora le motivazioni e si potrà ricorrere ai gradi successivi di giudizio.
Tutto è partito da una serie di segnalazioni da parte di alcuni lavoratori di origine africana, che hanno innescato le indagini della Digos (Divisione investigazioni generali e operazioni speciali).

A emergere è stata una prassi consolidata di lavoro non regolare, con buste paga più basse e non corrispondenti alle ore effettivamente lavorate, somme di denaro detratte agli addetti agricoli, contributi non versati, doppi turni, ma anche violazioni delle norme di sicurezza.

Alla sbarra è finito il caporale, soprannominato Momo, che faceva da intermediario tra gli immigrati e gli imprenditori, reclutando manodopera e traendone vantaggio economico. Ma imputati sono stati anche i datori di lavoro: un’azienda agricola di Lagnasco e i titolari di un’impresa per l’allevamento di pollame di Barge.

Per il caporale, il giudice Alice Di Maio ha pronunciato una condanna a cinque anni. Per quattro dei sei imprenditori al banco degli imputati, le condanne vanno da tre a cinque anni. A questo, si aggiunge il pagamento delle provvisionali per i lavoratori costituiti come parte civile, che vanno da 15mila a 50mila euro. Diecimila euro di provvisionali sono stati previsti anche per ciascuna delle organizzazioni sindacali costituite nel procedimento, la Flai Cgil e Sicurezza e lavoro.

Commenta Anna Cattaneo, presidente di Libera Cuneo, associazione in prima linea a tutela dei lavoratori agricoli: «Il risultato non era per niente scontato ed è frutto delle indagini sistematiche coordinate dalla Procura di Cuneo, nonostante i tentativi di ridimensionamento delle difese e anche delle associazioni di categoria chiamate a testimoniare, che hanno cercato di ricondurre il tutto a semplici reati di natura fiscale. La sentenza è stata chiara: si tratta a tutti gli effetti di caporalato».

Prosegue Cattaneo: «La pronuncia ha smontato tutto l’impianto della difesa, basato in particolare sulla teoria del “così fan tutti”: parliamo di comportamenti illegali che rimangono in una sfera grigia, talvolta neppure percepiti come tali oppure posti in essere in modo da non oltrepassare una sorta di limite di accettazione. In più, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa, le difficoltà legate al periodo storico non possono essere viste come una giustificazione per chi ha commesso i reati: l’illegalità non può e non dev’essere una soluzione. E se tante aziende della nostra provincia riescono a lavorare nonostante le difficoltà, la crisi non dev’essere affatto considerata una scusante».

«Non vogliamo fare di tutta l’erba un fascio e sappiamo quanti sono gli imprenditori che lavorano nel miglior modo possibile. Ma è importante chiamare i fatti con il loro nome. Il caporale è una figura che non si crea da solo, ma inizia ad agire quando esiste un sistema che trae vantaggi dal suo operato: in questo senso, la portata della sentenza è ancora più ampia», ha chiosato Cattaneo.
Anche Andrea Basso, segretario generale della Flai Cgil Cuneo, ha parlato di una sentenza storica: «Ci aspettiamo che quanto accaduto convinca tutti gli enti territoriali dell’importanza di arrivare a un sistema di collocamento pubblico dei lavoratori agricoli: serve un meccanismo trasparente, rispettoso delle leggi e dei diritti inviolabili delle persone».

Ha aggiunto Davide Masera, segretario generale della Cgil di Cuneo: «Molto resta da fare e ci impegneremo ad allargare la nostra presenza e la nostra azione ad altri due settori vitali per l’economia del Cuneese, nei quali sappiamo esserci zone d’ombra di sfruttamento, tra lavoro grigio e nero: gli allevamenti e il sistema vitivinicolo di Langhe e Roero».

Francesca Pinaffo

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