Si fa Nagìra al ritmo di Carrero

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Il cantautore di Neviglie Mauro Carrero

IL DISCO Dove si trova Nagìra? Oppure: chi può mai essere? Ce l’abbiamo sulla punta della lingua… E perché Mauro Carrero le ha dedicato il suo terzo, nuovissimo disco? Il nome suona spagnolesco (o mediorientale?), e promette di farci scivolare in qualche altrove: converrà ascoltare subito la canzone numero 9, che dà il titolo all’album, e scoprire dove ci porti. Percussioni, pianoforte, ritmi di danza caraibica: siamo nelle Antille. Spunta un coro maschile (certamente cubano: abbiamo ben presente Buena vista social club, noi) che prepara il fondo a una voce solista: «Se na gira, con custa brüta pandemia, et pöri gnanca fé, na gira…». In effetti, l’avevamo sulla punta della lingua… Ma l’innesto, giocoso, di Caraibi e Piemonte funziona: siamo scivolati via, «tra le isole più magnifiche, viaggi e imprese come Hemingway (…) longitudini oceaniche tra un Daiquiri e un Blue Moon». Così canta Mauro Carrero, autore di testi e musiche, senza muoversi né muoverci se non con l’immaginazione, antidoto unico e solo a qualsiasi confinamento. È un disco di evasione e di esotismo, questo suo nuovo: in quanto cerca di recuperare, o inventare, sensazioni e caratteri dai sapori intensi e persistenti, provati o vagheggiati. Nagìra diventa così la somma di resoconti da molti viaggi, «reali e immaginari», stesi negli ultimi due anni; somma, e non accumulo, perché l’album ha una consistenza, una tenuta garantita proprio dalla sua varietà, assecondata dagli ottimi musicisti che ci suonano e dagli arrangiamenti sempre commisurati all’umore e alla direzione di ogni brano (sono opera di Francesco Bordino, Beppe Rosso e dello stesso Carrero).

L’album Nagìra

Dall’Avana da cubanos postizos si può passare, per esempio, a un divertente Orango Tango, un «ballo dello scimpanzé» in uno spagnolo altrettanto posticcio, miscela di Franco Nebbia e Paolo Conte; oppure, con tutt’altro tono, al «quasi fado» della Lisbona ammaliante, confondente, «dei volti e dei fantasmi di Pessoa». In Jugoslavia, i modi diventano balcanici e la molla è però ancora il richiamo di un fascino «arcano», frutto di «eredità sfuggenti di antiche civiltà», viste attraverso «il volto di Gorizia della sua fraternità» (l’azzeccato progetto grafico del disco è frutto di collaborazioni e amicizie nate al confine tra Friuli e Slovenia). Sono in tutto undici canzoni che si pongono fuori da un tempo definito: anche quelle che parrebbero restarci dentro. Come il Sogno di Natale, che descrive, appunto come in una cosa sognata, le abitudini di un prima. Prima del Covid-19, si è tentati di dire; ma tra qualche anno, meno condizionati, avvertiremo nel brano altri rimpianti, nei «bar che ci aspettavano e promettevano le imprese degli eroi». E se il disco si chiude con una affermazione di fiducia (nella capacità di inventare) quasi sotto forma di ninna nanna (Rinascerò, con un bel crescendo, dal piano e voce iniziale, al sostegno di archi, fiati, cori), l’apertura la riserva a una terna di canzoni torinesi che non potrebbero essere più diverse l’una dall’altra, eppure stanno insieme.

La prima è un saluto swing a Fred Buscaglione: cosa che potrebbe parere già vista, già fatta, e invece riserva un autoironico e smagato uso del piemontese (con voce strozzata alla Louis Armstrong, opportunamente citato), nel dipingere e ridimensionare l’infatuazione di un americano a Torino, che «sembra made in Usa e invece quasi», come avrebbe detto Carlo Manzoni. La seconda canzone, Torino, è un tentativo di ritratto della città, un carosello di contrasti che si apre al galoppo e si chiude con un pensiero sospeso,  restando infine imperscrutabile. La terza, Bar dell’angelo, è quella più scopertamente autobiografica: Mauro Carrero a Torino nasce, nel 1978, e percorre «i primi passi» della sua vita in un quartiere di periferia dove, nel luglio del 1979, i terroristi di Prima linea uccidono Carmine Civitate, il gestore del bar del titolo, «con quattro pistolettate». Questo fatto di sangue degli anni di piombo (singolo anello di una tragica catena) avviene «proprio accanto alla casa dove vivevamo a quei tempi là».

Mauro Carrero non può non ripensarci, ma può farlo con l’attitudine del cantastorie, che sa maneggiare la ballata popolare, spesso alimentata dalle vicende della cronaca anche più efferata. Parecchi anni fa, ne aveva scritta una ispirandosi ai fatti di Gorzegno che fungevano da sfondo al racconto di Fenoglio Un giorno di fuoco (in appendice al suo primo album, Jose e Davide, uscito nel 2017). Bar dell’angelo è, per certi versi, il suo giorno di fuoco: l’episodio è così fissato nel racconto, e il racconto ora parla d’altro, dimostrando la continuità e la dedizione di questo cantautore. Nagìra si trova in alcune librerie albesi, e si può richiedere direttamente all’indirizzo e-mail dell’autore, carreromauro@gmail.com.

Edoardo Borra

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