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Quando i furbetti del pattume scordano il nome in etichetta

Quando i furbetti del pattume scordano il nome in etichetta

ALBA Stando alle opinioni di criminologi ed esperti forensi, il delitto perfetto esiste soltanto nelle finzioni letterarie o cinematografiche. Inevitabilmente, il criminale lascia sempre qualche traccia del suo passaggio. Tali leggerezze sono riscontrabili anche in atti meno gravi, che comunque costituiscono un illecito. L’abbandono dei rifiuti è uno di questi casi: sovente, in città e nelle campagne, per individuare i furbetti del pattume basta rovistare nel cumulo. Fatture, documenti, numeri di cellulare, carte o targhe sono solo alcuni degli indizi che possono aiutare a individuare gli autori del gesto.

Con l’aumento delle consegne a domicilio, può capitare di trovare i riferimenti sulle etichette apposte sugli scatoloni. Ma si può anche incorrere in equivoci: è quanto accaduto a Roberto (un nome di fantasia), residente in un paese attorno ad Alba. La sua è una storia simile a quella di tanti ragazzi: un’esperienza lavorativa all’estero, il rientro in patria attratto da opportunità poi rivelatesi al di sotto delle aspettative. E un presente fatto di aspirazioni e incertezze. Spiega il giovane: «Lavoro nell’ambito della ristorazione, un settore in cui, al di là della retorica sulla mancanza di personale, è facile finire nelle maglie del precariato e dei ritmi impossibili. Quattro anni fa, ritornato in zona dopo un lustro passato in diversi Paesi europei, ho ricevuto una proposta dai proprietari di un nuovo locale albese. Cercavano una persona che lo gestisse e mi chiesero di collaborare aprendo una partita Iva. Accettai, dato che era l’unico modo per operare con loro, ma dopo sette mesi trovai un impiego più stabile e meglio retribuito».

A spingere Roberto al cambiamento fu l’intuito: nonostante gli sforzi, «da parte dei proprietari vedevo poca serietà. Per chiudere la partita Iva ho dovuto spendere qualche centinaio di euro». Da allora il giovane è inserito nel nuovo lavoro, dove si trova bene e si sente valorizzato, «anche se mi piacerebbe tentare un’av-
ventura in proprio».

Nel frattempo, il locale dove si trovava in precedenza ha chiuso le serrande.

Poche settimane fa, una notizia inaspettata: «L’amministratore di un condominio di Alba mi chiama, accusandomi di aver riempito i cassonetti del palazzo con rifiuti indifferenziati. Per chiarire la situazione sono andato a incontrarlo e ho capito: i proprietari del locale dove lavoravo hanno usato una scatola recante il mio cognome. All’epoca mi avevano richiesto di comprare le attrezzature per l’attività. Lo avevo fatto usando il mio nome, rimasto sulle etichette. Di sicuro, non hanno voluto mettermi nei guai, ma per disfarsi del materiale hanno utilizzato i vecchi contenitori». Invece di portare gli oggetti, ormai inutili, all’area ecologica, li hanno sparpagliati in città: «Dopo la prima segnalazione, infatti, ne ho ricevute altre due», conclude Roberto.

Davide Barile

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