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Se a salvare i migranti è il debito pubblico

Ad Alba, Maurizio Ambrosini: «Sui migranti è necessario pragmatismo»

POLITICA Ci sono importanti documenti pubblici dei quali il cosiddetto “uomo della strada” non ha conoscenza e sono comunque in pochi quelli che li conoscono, anche solo approssimativamente. Capita anche per il Documento di economia e finanza (Def), appena adottato dal Governo, come base per la programmazione finanziaria per i prossimi tre anni.

Non stupisce la sorte che anche il Def subisce: basta andare sul sito del Ministero di economia e finanza e trovare un testo di 445 pagine, che si spera abbia letto almeno il ministro competente e pochi altri addetti ai lavori. Così capita che, se qualcuno non avesse attirato l’attenzione su una delle sue numerose tabelle, avremmo perso una ghiotta occasione di scoprire quanto può essere interessante e contraddittoria la politica italiana, nel contesto della cosiddetta “emergenza migratoria” appena decretata dal governo.

Veniamo allo sconosciuto testo del Def che a pagina 124 scrive: «Si osserva un impatto particolarmente rilevante, in quanto, data la struttura demografica degli immigrati che entrano in Italia, l’effetto è significativo sulla popolazione residente in età lavorativa e quindi sull’offerta di lavoro. Il rapporto debito/Pil nei due scenari alternativi a fine periodo arriva a variare rispetto allo scenario di riferimento di oltre 30 punti percentuali».

Non proprio un esempio di chiarezza espositiva: fortuna che viene in aiuto la tabella sottostante di pagina 125 per capire che la variazione di ingressi di immigrati in Italia incide sulla variazione del nostro debito pubblico stimato di qui all’anno 2070.

Proviamo a tradurre: se i flussi migratori netti rimangono ai livelli attuali, il debito salirà di una trentina di punti; se si ridurranno del 33% il debito si impennerà sopra il 200% del Pil; se invece aumenteranno del 33% il debito si ridurrà di circa un 30%. Ovviamente il quadro è più complesso, perché sul debito intervengono altri fattori, a cominciare dal livello di deficit pubblico, quello lasciato correre a + 4,5% nel 2023 in questo stesso Def.

Qui l’attenzione è portata sulla struttura demografica, ma non solo della popolazione immigrata prevalentemente giovane, ma anche di quella non citata della popolazione italiana in caduta libera con tutte le conseguenze che ne derivano per il mercato del lavoro e per la sostenibilità della spesa sociale, in particolare quella pensionistica.

Il tema non è soltanto italiano, ma anche europeo dove stenta a trovare una convergenza la spesa sociale tra i Paesi Ue e si fanno problematiche le prospettive di una sua sostenibilità a fronte di una frenata demografica un po’ ovunque.

Esemplare a questo proposito quanto sta accadendo in Francia e quanto accaduto in Germania a metà del decennio scorso.

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo
Franco Chittolina, sociologo, ha lavorato per 25 anni nelle istituzioni europee

In Francia il presidente Emmanuel Macron è da tempo sotto la pressione di infuocate proteste popolari per il suo progetto di ritardare l’età del pensionamento da 62 anni a 64 per evitare a termine il tracollo delle finanze pubbliche.

Di altra natura quanto avvenuto nel 2015 in Germania con l’ingresso nel Paese di un milione di migranti siriani, allora accolti dalla cancelliera Angela Merkel anche in considerazione della risorsa che potevano rappresentare per il mercato del lavoro tedesco, un’idea che in qualche misura si potrebbe riprendere in Italia, creando le condizioni per flussi regolati, senza necessariamente gridare all’emergenza nazionale, vista anche che la domanda di forza lavoro oggi – e domani ancora più – da parte del nostro Paese, è ben superiore al numero degli ingressi consentiti.

Certo tutto sarebbe più facilmente gestibile che si il problema venisse affrontato a livello dell’Unione Europea, a patto che questa batta un colpo e che i Paesi membri non si rinchiudano dentro alle proprie frontiere.

Franco Chittolina

 

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