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Mai+sole, se la violenza emerge in famiglia

L’associazione mette a disposizione delle donne una rete con psicologhe, borse-lavoro, tirocini e alloggi protetti

Mai+sole, se la violenza emerge in famiglia

MAI + SOLE «Mi è sembrata una realtà da sostenere, per ciò che fa ogni giorno, soprattutto da parte di giovani come noi». Lo dice Eleonora Castro, 19 anni, albese, neodiplomata al liceo classico Govone. Da lei è partita l’idea di devolvere il ricavato del giornalino scolastico, di cui è stata direttrice, all’associazione Mai+sole, che in provincia di Cuneo supporta le donne vittime di violenza. «Quando ci siamo confrontati sul tema mi è sembrato di cogliere consapevolezza, ma mi rendo conto che c’è ancora molta strada da fare, anche tra i giovani. Sono convinta che la beneficenza non debba essere pubblicizzata, ma in questo caso mi auguro che parlarne sia positivo».

Ne sono convinte anche Adonella Fiorito e Silvia Calzolaro. La prima, saviglianese, nel 2007 ha fondato Mai+ sole, che oggi conta un centinaio di volontarie nel Cuneese e sedi nelle principali città, tra cui ad Alba. L’associazione si autosostenta, con il 5 per mille, iniziative e donazioni, mettendo a disposizione delle donne una rete con psicologhe, borse-lavoro, tirocini e alloggi protetti. La seconda, albese, fa parte dei 20 avvocati della zona che hanno seguito una specifica formazione, con l’iscrizione nel registro piemontese per il patrocinio gratuito illimitato, a prescindere cioè della condizione economica della donna che intenta l’azione legale.

Fiorito, per parlare della “sua” associazione, prende il cellulare e fa partire un messaggio vocale ricevuto pochi giorni fa. Si sente la voce di una giovane, che tempo prima ha chiamato Mai+sole nel momento peggiore, quando si è trovata sconvolta e dolorante al bordo di una strada, fuggita dal compagno che per l’ennesima volta l’aveva pestata e umiliata di botte. Allora, nel pieno della notte, è stata condotta in un luogo protetto, grazie a Mai+sole. «Come volontarie ci siamo assunte un impegno gravoso, a volte difficile da reggere. Poi, riceviamo messaggi come questo e non possiamo che essere sempre più convinte del nostro lavoro», dice la fondatrice e presidente del team.

Fiorito, le sembra che i casi di violenza siano aumentati nella nostra provincia?

«In media, riceviamo circa 300 telefonate l’anno, inoltrate ai nostri numeri o attraverso il 1522, il numero nazionale antiviolenza, un centralino che trasmette la chiamata alle realtà attive sui territori. Per la provincia di Cuneo, rispondiamo noi di Mai+sole: siamo attive 24 ore su 24, 7 giorni su 7. In sostanza, quindi, è come se ricevessimo una telefonata quasi ogni giorno. Sono numeri elevati, che senza dubbio derivano in parte da una maggiore emersione del fenomeno: le donne sono più consapevoli e inizia a indebolirsi la cultura del nascondere la violenza in casa. Se questo dato è in miglioramento, per il resto non vedo un’evoluzione positiva. Ci sono capitati, negli ultimi anni, diversi stupri, di più rispetto al passato. E alcuni in contesti giovanili, purtroppo».

Le donne, quindi, chiedono aiuto e denunciano più facilmente?

«Sanno di poter chiedere e trovare aiuto, ma non vuol dire che siano sempre pronte ad affrontare questo passaggio. Ci sono donne che ci chiamano una volta e poi ci ripensano, ma anche chi si confida per lunghi periodi e poi rinuncia all’azione legale. Altre volte presentano subito querela, magari dopo aver subito l’ennesima violenza, poi la ritirano. Dal canto nostro, proprio perché l’iter giudiziario esige una certa consapevolezza, cerchiamo di accompagnare la persona alla presa di coscienza, così da consentirle di arrivare alla querela quando è pronta. Non sempre ci riusciamo, perché non è semplice accusare il padre dei propri figli o il compagno con cui si condivide tutto. In ogni caso, qualsiasi sia la scelta della vittima, evitiamo il giudizio: parlarne e chiedere aiuto è sempre un grande atto di coraggio. Piuttosto, offriamo supporto e sostegno, in ogni momento. In caso di azioni legali, seguiamo la donna prima, durante e dopo».

Nella Granda, in quali contesti emerge la violenza?

«Non ci sono distinzioni. Se parliamo di violenza all’interno di una coppia o in famiglia, ci imbattiamo spesso in contesti agiati. In questi casi, forse è ancora più difficile uscirne, perché la vittima teme il giudizio dell’ambito sociale in cui si muove: ha paura di non essere creduta, perché in apparenza vive in un ambiente che difficilmente si riconduce alla violenza».

I casi di cronaca delle ultime settimane in Italia sono drammatici: come se ne esce?

«Noi puntiamo molto sulla prevenzione, a partire dalle scuole, con laboratori e proposte che vadano al di là delle solite spiegazioni. Oggi spaventa molto il branco, che sembra un tratto caratterizzante di queste generazioni: incontriamo giovani sempre più soli, che si nascondono nel gruppo e che nemmeno le famiglie conoscono davvero, perché l’incomunicabilità sembra essere generalizzata. Probabilmente bisogna partire da questo aspetto, perché i segnali non sono incoraggianti, così come i dati sui femminicidi. In un mondo ideale, una donna non dovrebbe essere costretta a imparare a proteggersi, come ripetiamo sempre alle ragazze. Purtroppo, questa è la realtà e non dobbiamo scordare che la violenza nasce anche dove il rischio non è percepito. Essere sole in un parcheggio sotterraneo di notte o mentre si rientra a casa dopo una serata in discoteca è una situazione che può indurre una donna a guardarsi le spalle, ma è nel contesto della relazione, della famiglia e della quotidianità che spesso si annida la violenza, come ci dicono i dati e i racconti».  

L’avvocata Silvia Calzolaro: il Codice rosso ha portato benefici, ma la strada è ancora in salita

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Parliamo anche con l’avvocata albese Silvia Calzolaro: «Dal punto di vista legale, oggi c’è senza dubbio una maggiore tutela nei confronti delle donne vittime di violenza. Il cosiddetto Codice rosso, la normativa approvata nel 2019, ha portato una serie di benefici, tra fattispecie ben definite e un’abbreviazione dei tempi processuali, che in passato erano infiniti».

Per esempio, in precedenza il reato di stalking non esisteva, perché bisognava procedere contro un’infinità di piccole condotte da dimostrare. In questo momento la violenza viene affrontata in modo complessivo, includendo tutti quei comportamenti lesivi della libertà della donna, che la obbligano a modificare le sue abitudini di vita. Ancora Calzolaro: «Anche in questo caso, il reato avviene molto spesso al- l’interno di contesti relazionali, soprattutto da parte di ex fidanzati, ex mariti o in seguito a separazioni». In media, con il rito abbreviato, un processo per violenza domestica dura un anno e mezzo. Con il rito ordinario, invece, si arriva all’incirca a tre anni. «Sono tempi ridotti, ma è comunque un percorso complesso da affrontare per la donna, anche a livello psicologico. Bisogna essere pronte, avere consapevolezza. Il fatto di avere al proprio fianco una realtà come Mai+sole, nei processi come nella vita quotidiana, si rivela fondamentale».

Se sono stati fatti passi in avanti da alcuni punti di vista, su altri c’è ancora molta strada da percorrere. Come spiega L’avvocata Calzolaro, un problema è legato anche ai tempi in cui una persona può denunciare i fatti: «In Paesi come la Francia gli abusi e le violenze sessuali possono essere denunciate anche dopo trent’anni. Il Codice rosso in Italia prevede dodici mesi, un lasso temporale molto ristretto, spesso non sufficiente per maturare la consapevolezza di rivolgersi alla giustizia. Nei reati perseguibili a querela di parte, sono previsti solo da tre a sei mesi. Ed è chiaro che, nei contesti in cui emergono i maltrattamenti in famiglia – dunque esiste una vera dipendenza nei confronti dell’uomo – è difficile denunciare».

L’avvocata parla anche di un altro aspetto: «In media, per violenza domestica si comminano pene che vanno da un anno e mezzo a quattro anni: per stalking fino a tre anni. Ma, anche nei casi molto violenti e nei tentati femminicidi, nel momento in cui gli autori tornano in libertà, il rischio di recidiva è reale: il problema non si può esaurire solo con la condanna».  

Francesca Pinaffo

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