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Sofia: «In cella sei anonima, devi solo obbedire»

Sofia: «In cella sei anonima, devi solo obbedire»

CARCERE «In quelle mura la mia femminilità svaporava. La creatività, l’istinto e la forza diventavano secondari. Facevo lavoretti e partecipavo ad alcuni laboratori teatrali, sembrava che queste attività ci fossero concesse per farci un favore». Così Sofia, ragazza di 32 anni che oggi vive ad Alba e lavora come libera professionista dopo aver studiato filosofia a Torino, racconta la propria detenzione avvenuta in un periodo “turbolento” degli anni universitari.

«Mi sembrava che gli operatori, nonostante il comportamento gentile e affettuoso, ci trattassero in modo paternalistico, come se fossimo bambine. A ciò si aggiungevano la routine e la lontananza dalla comunità. Avevo commesso un reato minore, l’intensità della pena non era proporzionata. Per questo, quei due mesi di reclusione, cambiarono la mia vita».

Prosegue la ragazza: «In carcere ho conosciuto un’infermiera molto gentile. Con lei parlavo di letteratura e di come molte grandi personalità abbiano attraversato momenti difficili per poi esprimere il loro potenziale. Ero valorizzata, i nostri ruoli – io la detenuta, lei l’operatrice sanitaria – erano pura formalità, eravamo due esseri umani».

«Per il resto la vita nell’istituto penitenziario risultava spersonalizzante, anonima. Il mio corpo veniva comandato da altri. Devi obbedire, stare agli ordini. Poche detenute lavoravano, quasi nessuna studiava. Aspettavamo che la giornata passasse. Questa non è riabilitazione», afferma Sofia, che oggi si domanda: «Se uno ha commesso un errore per disperazione e confusione, solitudine e paura, come può essere aiutato se è costretto a uno spazio angusto e considerato un oggetto?».

Nelle scorse settimane l’associazione Antigone ha pubblicato il Primo rapporto sulle donne detenute in Italia. Dai dati emerge una “città invisibile” composta da persone di cui si occupano in pochi. In Piemonte sono 156 le donne nelle carceri di Vercelli e Torino, pari al 3,8 per cento della popolazione reclusa totale, un dato inferiore alla media nazionale. La detenuta più anziana è del 1943, la più giovane del 2004. Dal luglio 2022 al luglio 2023, nella nostra regione sono entrate nelle celle 75 donne, circa una ogni quattro giorni, e ne sono uscite 22. Per la maggioranza delle recluse (circa il 50 per cento) la durata della pena varia dai due ai tre anni, per il 40 per cento dai tre ai cinque e per il 10 per cento dagli uno ai due.

La ricerca prosegue rilevando come, a fine 2022, fossero presenti nelle carceri piemontesi 34 donne tossicodipendenti, di cui 9 straniere. Spesso non esistono strutture e processi riabilitativi adeguati alle fragilità delle persone che arrivano in carcere. Sulla popolazione carceraria in Piemonte solo 38 donne sono coinvolte in attività sportive, 29 in attività culturali e teatrali, e il 63 per cento lavora per cooperative o per il penitenziario.

Come spiega Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, «il lavoro in carcere è uno degli strumenti principali di reintegrazione sociale. Lavorare, guadagnare e imparare una professione, può essere l’elemento che consente alle persone detenute di rompere con il proprio passato criminale, portando a una diminuzione significativa della recidiva».

Aggiunge Gonnella: «Tuttavia il lavoro in carcere è poco. Nel 2023, solo il 33 per cento delle persone detenute ha un impiego e non particolarmente qualificato». «La maggior parte di loro lavora alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria per poche ore al giorno o per periodi brevi, per distribuire le opportunità lavorative – e di guadagno – tra più persone possibili. Solo il 2,5 per cento lavora alle dipendenze di un datore di lavoro esterno, con professionisti che possono accompagnarli anche a fine pena», conclude.

Gli istituti femminili in Italia sono molto affollati e inadatti

Sofia: «In cella sei anonima, devi solo obbedire» 1I dati comunicati da Antigone nel Primo rapporto sulle donne detenute raccontano una storia ancora lunga per la tutela dei diritti della popolazione femminile in carcere nel nostro Paese.

Secondo le rilevazioni, la presenza delle donne detenute nelle carceri italiane è ferma da molti anni attorno all’attuale 4,2 per cento sulla popolazione totale. Erano 2.392 al 31 gennaio 2023, di cui 15 madri con 17 figli al seguito. I reati contro il patrimonio sono più diffusi, circa uno su tre.

Le condizioni degli istituti non sono ottimali: il tasso di affollamento ufficiale delle carceri femminili risulta del 112,3 per cento: ogni 100 posti disponibili ne sono occupati 112, parametro superiore al tasso generale delle carceri italiane (pari al 109,2%). Le strutture sono inadeguate. Solo nel 66 per cento delle celle visitate da Antigone c’è il bidet previsto dal regolamento, in un carcere su tre manca un servizio di ginecologia e in due su tre è assente un servizio di ostetricia.

In contrapposizione con i pregiudizi, le donne straniere detenute sono in diminuzione. Nel 2013 il totale superava il 40 per cento, oggi sono il 30,5. Il disagio delle donne emerge anche dagli atti di autolesionismo, 30,8 ogni 100 presenti, contro i 15 degli istituti che ospitano solo uomini.

Drammatico il numero dei suicidi registrato lo scorso anno: 84, uno ogni quattro giorni. Tra loro, cinque erano donne, di cui tre straniere. Un numero così alto non era mai stato registrato, né in termini assoluti né in termini relativi. Nei due anni precedenti si era registrato un solo suicidio femminile in carcere.  

Valerio Re

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