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Come distinguere la voce del pastore tra tanti mercenari?

PENSIERO PER DOMENICA – QUARTA DI PASQUA – 21 APRILE

Puntuale, ogni anno, alla IV domenica di Pasqua, viene proposta la similitudine del buon pastore, usata da Gesù stesso per qualificare la sua persona e il senso della sua missione: essere la guida e il compagno di viaggio della sua comunità. Questo ruolo del Gesù storico è stato confermato e rafforzato dalla risurrezione. Le letture della Messa ne approfondiscono il senso.

Come distinguere la voce del pastore tra tanti mercenari?
In buon pastore, particolare dal mosaico del Quinto secolo, Ravenna museo Gallia Placidia.

Buon pastore è chi fa del bene gratis. L’ha spiegato Gesù chiarendo la differenza tra il pastore e il mercenario (Gv 10,11-18). Questi si interessa del gregge “solo se e fino a quando” conviene. Quando arrivano le difficoltà e i pericoli – il lupo! – il mercenario scappa; il buon pastore resta. Chi fa del bene gratis però non sempre riceve applausi o ringraziamenti. Sappiamo la sorte di Gesù. Lo ha sperimentato sulla sua pelle anche Pietro, negli Atti degli apostoli (4,8-12): arrestato per aver guarito lo storpio che chiedeva l’elemosina alla porta del tempio. Legittimo e paradossale il suo lamentarsi: «Veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo». Cioè: siamo colpevoli di aver fatto del bene, gratis!

In nessun altro c’è salvezza. Questa affermazione di Pietro, chiara e netta, sembra oggi più vera che mai. Se volgiamo lo sguardo alla realtà del mondo che ci circonda, se consideriamo la crescente incapacità di chiunque a fermare la violenza e le guerre che imperversano in molti Paesi, viene davvero da richiamare alla mente la triste profezia del filosofo Heidegger: «Ormai soltanto un Dio ci potrà salvare». L’autore degli Atti, quasi duemila anni prima, aveva scritto la stessa cosa. Ma noi, a differenza di Heidegger, crediamo che Dio ci possa davvero salvare!

ANNO DELLA PREGHIERA – 12. Pregare è riconoscere la voce del buon pastore, rispondere e lasciarsi guidare da essa. Gesù, perfetto conoscitore dei metodi di allevamento del bestiame del suo tempo, usa in modo appropriato l’immagine. Le pecore “riconoscevano” il pastore dalla voce, al punto che bastava un suo grido a radunarle. L’immagine ci lancia una vera e propria sfida: sappiamo riconoscere la voce di Gesù? Sappiamo identificare la sua parola, distinguendola da mille altre che bussano alle nostre orecchie? Abbiamo dimestichezza con la sua Parola contenuta nei sacri testi? Per imparare a riconoscere la voce del buon pastore serve tempo. Non basta sentirla una volta; l’ascolto deve essere ripetuto. Questo è un aspetto della preghiera cristiana: un ascolto della Parola costante e prolungato nel tempo. Solo così scattano fiducia e affidamento.

Lidia e Battista Galvagno

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