PENSIERO PER DOMENICA – XVIII TEMPO ORDINARIO – 4 AGOSTO
Cominciamo la meditazione sul discorso di Gesù dopo la moltiplicazione dei pani (Gv 6,24-35). Gesù segue lo schema dell’omelia tipica del culto sinagogale, in cui, a Pasqua, veniva spiegato al popolo il miracolo della manna (Es 16,2-15). Ma le parole di Gesù sono ben diverse da quelle dei rabbini! Tutti i commentatori concordano nel rilevare che Giovanni inserisce a questo punto parole di Gesù pronunciate in momenti diversi (secondo i Sinottici nell’ultima cena). È un procedimento legittimo, considerando lo scopo del IV Vangelo: chiarire chi è Gesù e perché credere in lui.
La prima preoccupazione di Gesù è di purificare le motivazioni che hanno indotto quelle persone ad attraversare il lago e a cercarlo: egli non vuole persone che lo cerchino come dispensatore di miracoli – in questo caso di cibo – ma persone che credano in lui. Chiede di oltrepassare il fatto materiale di avere mangiato dei pani e di arrivare a credere «in colui che [Dio] ha mandato». Da notare l’espressione: non «credere a», né «credere che», ma «credere in». La fede, primariamente, non riguarda gli atti né l’insegnamento di Gesù, ma la sua persona. Per tutta risposta, la gente chiede ancora un segno: ripetere il miracolo, come la manna, che ogni mattina sfamava il popolo nel deserto! Il miracolo non li ha illuminati su Gesù.
Gesù allora scopre le sue carte: il vero pane che nutre e dà la vita è lui stesso: lui è il «pane di Dio, che discende dal cielo e dà la vita al mondo» (6,33). Notiamo lo sviluppo: per gli israeliti il pane dal cielo era la manna, nutrimento nel deserto; per i rabbini era la legge che diceva cosa fare della vita; qui il pane dal cielo è Gesù stesso. La fede in lui fa entrambe le cose: ci nutre e ci dice cosa fare della vita. Per nutrirci di questo pane che assicura la vita piena-eterna abbiamo due strade: la più importante è la fede in Gesù come punto di riferimento. Poi viene la Comunione eucaristica. Ma nell’ordine indicato. Lo scriveva già sant’Agostino: «Credere in lui: questo significa mangiare il pane vivo. Chi crede mangia!».
ANNO DELLA PREGHIERA-27. Raccontare le meraviglie di Dio è un bel modo di pregare. Ce lo ricorda il Salmo 77: «Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato non lo terremo nascosto ai nostri figli, raccontando alla generazione futura le azioni generose e potenti del Signore e le meraviglie che egli ha compiuto». La preghiera come racconto è adatta sia a una famiglia con bambini sia a incontri di formazione e catechesi: fa entrare nel mistero di Dio più di tante formule ripetute a memoria.
Lidia e Battista Galvagno