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L’inchiesta mafia-appalti e la storia che si ripresenta: intervista a Mori e De Donno

L’inchiesta mafia-appalti e la storia che si ripresenta: intervista a Mori e De Donno
Foto Marcato

L’INTERVISTA Il filone mafia-appalti è quello su cui, nel 1992, lavoravano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Un dossier quinquennale stilato dai Carabinieri del Reparto operativo speciale (Ros), che ricostruiva una rete consolidata tra imprese edili, politici e mafiosi. L’indagine venne bloccata, tra moltissimi interrogativi.

Quest’anno la Procura di Caltanissetta l’ha ripresa in mano: alla sbarra degli indagati, per averla insabbiata e per favoreggiamento alla mafia, ci sono alcuni dei vertici della Procura palermitana di allora. L’indagine era stata condotta da due figure in seguito molto discusse: Mario Mori, all’epoca comandante dei Ros, e il colonnello Giuseppe De Donno.

Tra gli indagati, per vent’anni, ci sono stati anche loro, fino all’assoluzione in Cassazione. Sulla vicenda hanno scritto un libro, L’altra verità (Piemme). Lo hanno presentato venerdì 22 novembre, alla fondazione Ferrero di Alba, nell’ambito di un incontro organizzato con Confindustria Cuneo sul tema delle infiltrazioni criminali in ambito imprenditoriale. Li abbiamo intervistati.

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Mario Mori

Mori, al di là della vostra vicenda personale, perché oggi è così importante riportare alla luce questi fatti?

«Credo sia un atto dovuto nei confronti di tutte quelle persone che hanno vissuto quel periodo, da spettatori o direttamente. Le nostre parole possono servire a guardare i fatti con un’ottica diversa: abbiamo impostato il nostro racconto in modo giusto, con osservazioni supportate da fatti documentati. In effetti, non abbiamo avuto alcuna querela, fino a oggi».

Il dossier mafia-appalti, a cui lavoravano Falcone e Borsellino, è ancora attuale ai giorni nostri?

«Ritengo che, se la Procura di Caltanissetta riuscirà a ottenere risultati, si potrebbe rivedere la narrazione di fatti chiave e soprattutto si potranno analizzare aspetti per trent’anni passati in sordina. Noi siamo dei sopravvissuti: molti dei protagonisti della lotta alla mafia non ci sono più. Forse è l’ultima vera occasione per approcciarsi a questa storia in modo efficace, prima che il tempo la inghiotta».

Si saprà mai la verità sulla morte dei due magistrati?

«Cito l’opera di un altro siciliano: Così è (se vi pare). Ognuno ha la sua versione».

Tornando alla vostra vicenda, se non c’è stata la trattativa Stato-mafia, come vi spiegate le accuse nei vostri confronti?

«Da persona che ha vissuto quegli anni, posso dire che sono stati molto forti. C’erano veri partiti, in senso di ideologia, con caratterizzazioni nette. È difficile arrivare alla verità con la “v” maiuscola: oggi è molto più semplice dare un giudizio politico, distaccandosi dagli avvenimenti reali».

Oggi la criminalità organizzata è economica, diversa da quella delle stragi: come si combatte secondo lei, Mori?

«È un’altra mafia, senza dubbio, ma le Forze dell’ordine italiane hanno tutti gli strumenti investigativi per affrontarla: da questo punto di vista, siamo tra i migliori al mondo. L’approccio, per me, deve restare quello dell’avvicinamento e dell’immedesimazione nella realtà dell’avversario. Oggi, per certi versi, è più difficile rispetto a trent’anni fa».

Francesca Pinaffo

«Abbiamo affrontato tutto con la massima serenità»

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Giuseppe De Donno

Giuseppe De Donno, nel periodo tra le stragi del ‘92 e del ‘93, era un membro di spicco dei Ros. Per decenni, come Mori, è stato indagato e infine assolto in Cassazione.

Non nasconde, quando ne parla, le ricadute di questo lungo periodo: «I risvolti negativi sono stati molti, dal lato professionale e personale, ma abbiamo affrontato tutto con la massima serenità, perché abbiamo vissuto quei fatti».

Anche lui oggi guarda alla Procura di Caltanissetta: «Ciò che raccontiamo è di estrema attualità, come dimostra la riapertura del dossier. Sono finiti sotto indagine magistrati della Procura di allora: è qualcosa di clamoroso, che ci può aiutare a rivedere le tappe di quell’estate. Non sarà semplice, ma sembra esserci la determinazione necessaria per portare a galla la verità».

Anche lui ritorna agli attentati a Falcone e Borsellino, con cui ha lavorato: «Difficile analizzare tutto ciò che c’è dietro alle loro uccisioni, dopo così tanto tempo. Non serve solo la volontà di indagare: i ricordi sono purtroppo più labili».  

f.p.

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