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Nel Mercato del tartufo «marca male» e nella cerca non mancano gli illeciti

Fiera / Nella Maddalena torna il Mercato 1

SOTTO LE TORRI Se finora il coro sull’andamento della stagione del tartufo era stato unanime e tendente alla lode, nell’ultima settimana si sono rincorse voci su un prodotto che scarseggia sempre più. Da Rodello, Fabrizio Barile confida: «Marca male, speriamo almeno possa esserci ancora una buttata, ma al momento c’è quasi niente».

Aggiunge Giancarlo Bressano dal Monregalese: «L’annata è stata un po’ a macchia di leopardo, in alcune zone si sono trovati tartufi in abbondanza e in altre molto meno. Meglio rispetto all’anno scorso, quando la quantità era davvero prossima allo zero dappertutto. Ma se nel 2023 il problema era legato soprattutto alla siccità, quest’anno a rovinare tutto sono state le precipitazioni autunnali. È scesa troppa acqua in poco tempo e, come effetto secondario, in molti luoghi il terreno si è compattato. Asciugando, è rimasto molto duro: tale condizione è sfavorevole per lo sviluppo del tartufo».

A margine della premiazione del Tartufo Reale, Stefano Cometti, giudice del Centro nazionale studi tartufo, si è spinto a dire: «Temevo addirittura non riuscissero a portarci esemplari per la competizione. Pensavo di aver capito tutto su come si sviluppa il tartufo, invece mi rendo conto che così non è. Il calo non lo riesco a spiegare, questa mattina (sabato scorso, nda) al Mercato mondiale c’erano circa 28 chilogrammi di tartufo in vendita, un 30 per cento in meno rispetto alle altre settimane. Un vecchio trifolao come Stelvio Casetta ha ricordato che, nel 1992, l’annata fu simile a questa. Dopo un ottobre e le prime settimane di novembre caratterizzati dalla presenza di quantità e buona qualità, la produzione si arrestò completamente».

La penuria ha già fatto registrare un incremento dei prezzi, «per piccoli esemplari poco oltre i dieci grammi si pagano 480 euro l’etto, ma per i tartufi di medie dimensioni si va dai 500 ai 700 euro. L’affluenza al Mercato resta molto alta e i visitatori comprano fino all’ultimo pezzetto».

A fornire altri particolari è Christopher Hoffman, giovane giudice e trifolao di Montafia nato da madre astigiana e padre tedesco. «La passione me l’ha trasmessa mio nonno. Da noi si diceva che, quando si iniziavano a trovare i rosset, ossia i tuber escavatum, si era ormai alla fine della stagione. Ne ho già cavati alcuni, non sembra essere un buon segno. Si tratta di un tartufo dal forte odore di affumicato e senape. Altro campanello negativo è la presenza di bianconi: si tratta di tuber magnatum, che però è mal sviluppato, privo di venature e bianco come una noce di cocco».

Nella cerca del tartufo non seguono le norme

Come accade per qualunque attività economica, anche nella cerca e nella vendita del tartufo possono essere commessi illeciti.

A parlarne è Mauro Carbone, direttore del Centro nazionale studi tartufo. «Non siamo in possesso di numeri per quantificare il fenomeno» spiega, «come ogni anno immagino che saranno diffusi alla fine della stagione dai Carabinieri forestali. Posso dire che però gli agenti sono molto attenti a ciò che accade nei boschi, il loro è un lavoro di tutela ambientale. È possibile che esistano cercatori sprovvisti di tesserino, ma ciò influisce solo relativamente sulla crescita delle specie di Tuber». Molto più dannoso è cercare i tartufi fuori stagione. Prosegue: «E, purtroppo, capita di vederli proposti in vendita in alcuni ristoranti. Se si raccolgono esemplari immaturi, oltre a cavare trifole di scarsa qualità non si ha lo spargimento delle spore. Per tale motivo ci battiamo per lo spostamento del-
l’epoca di inizio della raccolta. Meglio sacrificare qualche tartufo e lasciare le condizioni ottimali per la crescita di altri. Quest’anno in Piemonte la data è slittata al primo ottobre, speriamo che il calendario sia uniformato in tutta Italia».

Altro problema riguarda «la cerca senza cane, effettuata con l’ausilio di zappe nei luoghi in cui si presume possano essere trovati tartufi. Oltre, anche in questo caso, alla possibilità di dissotterrare esemplari immaturi, si rischia di danneggiare irrimediabilmente l’habitat. Come per tutti gli illeciti è difficile fare una statistica, ma il fenomeno esiste».

Ciò che a Carbone appare «incomprensibile e imperdonabile» è il fatto che i cercatori «possano vendere tartufi in nero. La legislazione è estremamente favorevole, sui primi settemila euro di ricavo si pagano appena cento euro di tasse. Io e molti altri usufruiamo di aliquote ben meno morbide. Per quanto riguarda le vendite commerciali, direi che il sistema si controlla da sé. Gran parte del tartufo va a ristoranti o all’estero: per questioni di contabilità e di dogana, diventerebbe difficile evitare di pagare le tasse e di stilare i documenti necessari».

Davide Barile

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