
LETTERA AL GIORNALE A inizio marzo, ho partecipato a una prova concorsuale straordinaria come insegnante di religione (che insegno dal 2000 al Cillario di Alba e Cortemilia). Poiché la traccia riguardava gli aspetti etici del digitale, ritengo utile condividere quanto ho scritto con i lettori di Gazzetta d’Alba.
Affronto ogni anno con i miei studenti di quinta superiore il tema dei dieci comandamenti, che segnano un percorso etico su cui potersi interrogare, ad ampio raggio e senza paraocchi, praticamente su tutti i dilemmi che attanagliano i nostri giovani. E parlando del comandamento “Non rubare” entro solitamente con i miei ragazzi nel campo dell’avere. Spaziamo su tutto e arriviamo a chiederci se non possiamo considerare furto il gettare via il cibo che avanziamo e che per altri significherebbe poter sopravvivere (tomismo insegna) o trattare aria e acqua che sono di tutti come fossero solo nostri inquinando, sporcando, deturpando irrimediabilmente. Ci interroghiamo su cosa significa davvero possedere, sulla categoria “proprietà” e sul suo valore: fino a quale punto è giusto arrivare per difenderla?
Metterei in gioco la mia vita per difendere il possesso di qualcosa? Il discorso si fa grande e il dibattito acceso. Non avevo approfondito finora che nell’era dell’infosfera, nell’epoca digitale, il furto diventa sottrazione nel campo dell’essere. Insinuarsi nel profilo di qualcun altro e a suo nome fare o dire alcunché è indossare i suoi panni, parlare a suo nome, stravolgere le sue relazioni e appropriarsi di ciò che fa sì che ciascuno di noi sia in sé stesso: l’identità. Il diritto più inalienabile di tutti non possiamo forse riconoscerlo nel diritto di essere sé stessi? Fin dalle indicazioni del tempio di Delfi (“Conosci te stesso!”), il diritto a essere sé stessi è stato messo al centro e riconosciuto come il fulcro attorno a cui costruire il cammino della persona. Ora, sul frontespizio del tempio del virtuale, potremmo scrivere “Uomo, tutela ciò che sei!”, attento, proteggi la tua identità. Ci viene chiesto di ridefinire e rifondare il concetto stesso di identità. Perché essa può esserci sottratta, rubata, violata. E questa è una ferita nell’essere non più nell’avere. La possibilità del furto si sposta dall’avere all’essere. E il comandamento “Non rubare” assurge a tutta la sua potenza.
L’intelligenza artificiale ci pone di fronte a questioni non immaginabili fino a poco tempo fa. Quando addirittura a un ministro viene sottratta l’identità, falsificando la sua voce in modo così convincente da far sbloccare migliaia di euro, possiamo ancora ritenere non ci sia un’etica da mettere in campo e da ribadire con vigore, forza e attenzione? Ringrazio mi sia stato chiesto di interrogarmi profondamente su questo e immaginare, progettare di affrontarlo in classe, nello specifico e ben definito perimetro di quella mia breve, precaria, facoltativa ora: lì dove i ragazzi si interrogano, discutono e si lasciano talvolta provocare da messaggi controcorrente. Ho elaborato la mia progettazione, profondamente calata nella realtà di quello che la scuola è per me, per noi: un laboratorio di idee, di condivisione, di vita. E riflettere sul concetto di identità nell’infosfera, di proprietà nel digitale ha aperto un mondo: cosa significa “proprio” nell’oggi? Nell’infosfera il punto che determina il proprio non è più solo l’avere e il furto può essere furto dell’essere, il volersi e potersi sostituire all’altro. Il comando “Non rubare!” diventa allora “Non sottrarre l’altro a sé stesso”.
Roberta Imperiale
Gentile Imperiale, grazie della condivisione. I temi toccati sono di grandissima attualità e necessariamente interpellano le agenzie formative, a partire dalla scuola e da una materia scolastica in cui l’etica dovrebbe occupare un posto d’onore. Se però guardiamo alle riforme che ogni Governo propone per la scuola, più che l’etica sembra prevalere l’ideologia.
g.t.
