
di Paolo Tibaldi
ABITARE IL PIEMONTESE – C’è una linea sottile tra lo scherzo finalizzato al buon umore e la presa in giro sgradevole. Lo scherzo diverte e unisce, nasce con leggerezza e senza l’intento di ferire. La presa in giro scivola facilmente nella mancanza di rispetto, nello sminuire l’altro. La sottile linea che le separa è l’intenzione. Schergna è una parola che racconta proprio questo, ridere dell’altro con quel velo di sberleffo che, se supera il limite, diventa irrispettoso. Anche in italiano si utilizza il verbo schernire, ma in piemontese ha una forza maggiore. È una derisione manifestata con il gesto: una faccia che si contorce, la boccaccia fatta al compagno, l’imitazione di chi zoppica, una battuta fuori luogo. Ogni versaccio che può rappresentare una gratuita mancanza di rispetto, grazia, dignità, con diverse varianti: scavargna, sghergna, sgergn, svergna, fino a quel schergné che è il verbo, l’atto di schernire.
Accadde da ragazzino di assistere a una scena: alcuni coetanei giocavano a pallone e andavano in bicicletta sul piazzale antistante un cimitero di campagna. Un uomo passando di lì disse: pianteȓa lì ‘d fe scavargne dnans a ‘n campo santo! Aveva espresso indignazione, forse eccessiva, per un’attività del tutto innocente di quei ragazzini, secondo lui irriverenti verso quel luogo. L’etimo viene dal germanico skirnjan (burlare, schernire) e si ritrova anche nelle forme occitane e franco-provenzali: un filo linguistico che unisce l’Europa popolare dello sberleffo.
Donato Bosca pubblicò un libro emblematico, proprio dal titolo Scavargne. Qui però sono intese come scherzi in buona fede. La schergna fa parte della civiltà contadina e del resto serve a ridimensionare la superbia, a riportare con i piedi per terra, ma come ogni medicina, quando è eccessiva può diventare veleno. In un mondo che si nutre di sarcasmo e prese in giro facili, dovremmo ricordare che il vero spirito è sorridere insieme, magari di buon gusto. Ecco la lezione più preziosa che ci lascia questa antica parola.
