ALBA Le dimissioni sono state annunciate da Degiacomi stesso poco fa con un post su Facebook: “Sento sempre meno efficace il ruolo e l’effettivo coinvolgimento del Consiglio Generale”
Sono arrivate inaspettate pochi minuti fa le dimissioni di Antonio Degiacomi da consigliere del Consiglio Generale della Fondazione CRC; due anni fa Degiacomi era il candidato alla presidenza della Fondazione contro Giandomenico Genta, attuale presidente.
Il lungo post in cui Degiacomi, che della Fondazione è stato anche vicepresidente, spiega le motivazioni della sua scelta, recita: “Con sollievo e rammarico ho rassegnato le mie dimissioni da consigliere del Consiglio Generale della Fondazione CRC.
La decisione non è dovuta a ragioni familiari, perché l’incarico non è così gravoso, anche se qualche problema familiare in questi due anni ho dovuto affrontare.
Non è dovuta alla somma di impegni, perché rivesto una sola altra carica, non retribuita, non incompatibile, non in conflitto di interessi.
Non è dovuta alla ripulsa nei confronti del compenso, che peraltro avevo già autoridotto del 30%.
Non è dovuta al fatto di essere diventato indifferente nei confronti di questa istituzione così preziosa per la comunità provinciale che grazie ai nostri predecessori, e in particolare alla Presidenza Oddero, può contare su un grande patrimonio e che grazie alla Presidenza Falco, con la quale ho potuto collaborare per cinque anni, si è data una solida struttura, un centro studi, una metodologia di programmazione e di erogazione attraverso bandi e progetti.
Dopo la sconfitta della mia candidatura alla Presidenza non ho fatto mancare il mio contributo ai lavori della Commissione Arte, Istruzione e Sport che ho coordinato e ai lavori della Commissione Statuto nella quale ho cercato di raggiungere le mediazioni possibili tra posizioni a volte molto divergenti.
In Consiglio Generale ho espresso con lealtà e franchezza il mio apporto, critico a volte sulle politiche di bilancio, sui rapporti con la banca conferitaria, sulle modalità dei processi di fusione con altre Fondazioni, sulla remunerazione degli organi, su qualche aspetto della programmazione, limitando a poche significative occasioni il mio voto contrario o la mia astensione. Ho inoltre richiesto, senza esito, di costituire la Commissione consultiva sulla gestione del patrimonio e di fornire ulteriori occasioni di approfondimento al Consiglio generale su tale fondamentale materia.
Non ho potuto che prendere atto delle decisioni che competono per Statuto al Consiglio di Amministrazione e che non mi hanno convinto, ad esempio la riduzione dell’impegno nel settore Istruzione e l’enfasi sullo Sviluppo locale – come se non vi concorressero tutti gli altri settori; alcune modifiche poco comprensibili nell’organizzazione del personale; la polarizzazione tra pochi pretesi “interventi faro” e la dispersione in tante piccole erogazioni e in tante iniziative buone più per un titolo di giornale che per la capacità di incidere; alcune scelte di investimento (tra le quali Atlantia – 52 dei 120 milioni di liquidità ricavati dalla vendita di BRE – e gli impegni nel settore bancario) che in tempi non facili avrebbero a mio avviso dovuto maggiormente accentuare la diversificazione.
Perché dunque mi dimetto? Perché dopo due anni di esperienza della Presidenza Genta sento sempre meno efficace il ruolo e l’effettivo coinvolgimento del Consiglio Generale e intendo tenermi lontano da uno stile di conduzione della Fondazione personalistico, poco attento alle proposte, insofferente alle critiche, poco sensibile a possibili conflitti di interesse o comunque a inopportuni cumuli e intrecci di cariche.
Non mi illudo che la mia decisione contribuisca a stimolare un dibattito nella comunità provinciale sul ruolo della Fondazione, sui profili richiesti ai designati e più in generale sulla anomalia in provincia di Cuneo e in Piemonte costituita dalla occupazione di cariche da parte di un ristretto e ben identificato gruppo di personaggi che rafforzano il potere personale dando e ricevendo appoggi in modo trasversale.
Diciamo allora che mi dimetto per ragioni di salute, nel senso che l’essere coerenti e liberi e lontani da certi meccanismi di potere consente di vivere più felici o almeno più sereni i giorni che ci sono assegnati.”
Adriana Riccomagno