LA STORIA Quando si parla di violenza, si cade talvolta nell’errore di pensare che il fenomeno possa colpire un altrove lontano, non il proprio microcosmo. Guardando ai fatti, invece, si può scoprire
con sgomento che l’aguzzino di turno ha un volto familiare, al di sopra di ogni sospetto, e che il germe della violenza attecchisce talvolta dove ci si sente più al sicuro: nel proprio paese o quartiere, sul luogo
di lavoro o, peggio ancora, tra le pareti di casa.
Storie di dolore, sempre meno sporadiche, negli ultimi anni hanno segnato anche il nostro territorio, arrivando talvolta alle estreme conseguenze: la morte della vittima. Emblematico, tra i casi più recenti alla ribalta delle cronache, l’uxoricidio avvenuto a Canove di Govone il 26 giugno 2018. Lei, la vittima, si chiamava Roberta Perosino, aveva 53 anni, era moglie e madre e faceva l’operaia da Ferrero. La sua morte, avvenuta per mano del marito, l’ha accomunata allo stesso tragico destino toccato, 4 anni prima,
alla cugina Elena Ceste. Lui, il marito, Arturo Moramarco, è un macellaio in pensione, di 58 anni,
che aveva sviluppato la dipendenza dal gioco d’azzardo. Proprio la sua ludopatia alimentava liti
e disaccordi nella coppia, fino a quando, quel 26 giugno, l’ennesima litigata per la sparizione di denaro è degenerata e Arturo ha ucciso Roberta: la donna è morta per soffocamento con un cuscino, come riportato dal consulente medico legale incaricato.
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Per nascondere l’omicidio, l’uomo aveva simulato una rapina finita male, confessando, un mese
e mezzo dopo, l’uxoricidio. Nel frattempo, la giustizia ha fatto il suo corso: la scorsa settimana, la sentenza del processo con rito abbreviato ha condannato l’uomo a 18 anni di carcere.
m.z.