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Maria: la storia di un seme e di cent’anni di solitudine

Maria: la storia di un seme e di cent’anni di solitudine

LA STORIA  «Ricordo quel momento: stavo mangiando una crostata di mirtillo preparata dalla mamma. Eravamo nella nostra casa ad Alba, appena tornati dalla laurea a Torino. Al tavolo erano seduti anche mio papà e mio fratello. Ricordo il sole estivo che colpiva il nostro cactus, simbolo della famiglia, robusto e alto di oltre sette anni».

Il racconto di Maria, 32 anni, è custodito nel suo sguardo: le brillano gli occhi. Forse rabbia oppure commozione, tristezza, malinconia. Forse è l’accettazione di un ordine di eventi. In queste pagine parliamo di persone come lei. Dei “ragazzi spezzati”, una generazione illusa rispetto al destino che le era stato promesso.

Maria: «Finimmo la crostata e mio padre disse: adesso puoi realizzare i tuoi sogni. Io pensai: scrivere un libro, diventare critico letterario e giornalista. Con la mia laurea in lettere, che ho impiegato 23 anni di studio per ottenere (da quando ho sei anni, in fondo, non faccio che studiare), potrò dimostrare di essere quello che mi è sempre stato detto di essere: una donna speciale».

Maria prosegue: «Continuavo a inviare curricula a Milano, Torino, Roma e venivo sistematicamente ignorata, respinta o accettata con offerte economiche ridicole: 900 euro al mese per 40 ore, al massimo mille euro. Feci la stagista, la tirocinante, la responsabile di un ufficio ma con contratto precario mai rinnovato. Pian piano abbassai le ambizioni: segretaria, poi assistente alle vendite. Dopo quattro anni mi stancai. Non ce la facevo più. Questo peregrinare mi sfiancò. Tornai ad Alba».

Conclude Maria: «A quel punto faticavo a dormire, avevo molta ansia. Mi dissi: il mondo mi ha respinto. Altri ce l’hanno fatta, ma a ben guardare non perché siano più bravi di me. Mi sembrava di aver vissuto cent’anni di solitudine. Il mio seme non aveva trovato terreno su cui germogliare. Dopo qualche mese, però, accettai questa situazione come un insegnamento impartito dalla vita. Oggi sono rinata. Ho cambiato linguaggio. Invece della scrittura, coltivo l’arte. Organizzo eventi musicali, mostre, conferenze. Mi piace. Mi sono ritrovata. I miei genitori hanno capito che il sogno atteso e auspicato si è infranto. Ma dentro di me so che sono stata fortunata. Non tutti hanno la forza di recuperare. Là fuori ci sono molti ragazzi che non hanno sufficiente energia per rialzarsi, per ricominciare».

Matteo Vibert

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