Antonio: «La comprensione e l’amore mi hanno guarito dall’isolamento»

Antonio: «La comprensione e l’amore mi hanno guarito dall’isolamento»

LA STORIA «Tutto è iniziato con una maglietta verde, con un disegno sopra, del bruco e della luna». Antonio oggi ha 35 anni, vive ad Alba e racconta un periodo universitario di alcuni anni fa, ma che «rimbomba nella testa come se fosse accaduto ieri, sebbene io abbia fatto molto lavoro interiore per elaborarlo».

Spiega il giovane: «Frequentavo la facoltà di lettere, ma a quel tempo ero piuttosto timido e introverso. Gli altri mi identificavano come debole, e oggi so che in me vedevano riflesse le loro parti fragili e quindi questa cosa li spaventava. Iniziarono a prendermi in giro. Prima per il mio essere “spento”, poi per la maglietta col bruco e con la luna chiamandomi uomo-bruco, oppure “il notturno”. Faceva male, ma io continuai a indossare la maglietta: ancora oggi non so il perché lo facessi».

Antonio spiega come in quel periodo non riuscisse più a dormire, mangiava poco e aveva frequenti crisi di ansia. Si sentiva solo e frustrato perché aveva l’impressione di non avere un posto nel mondo. «È così che è iniziato il mio rapporto con la pornografia. All’inizio è stato un semplice visitare un sito Internet. Ma presto mi accorsi che le ore trascorse di fronte a quei filmati erano momenti in cui la mia ansia diminuiva. Non era importante la masturbazione, a volte la praticavo e a volte no. L’importante era assistere alle scene di sesso, qualsiasi fossero. Guardare i corpi mi calmava. Quello stato di dissociazione mi portava in un altrove, un mondo differente dove quei video mi facevano sentire, sebbene per poco tempo, appagato. Preferivo questa soluzione alla droga o ad altre forme evasive».

Un giorno Antonio stava camminando di fronte all’università e nonostante stesse bene di salute fisica, si sentiva non appartenere più a questo mondo. Era solo, la famiglia lontana. Non provava più piacere nel fare le cose e tutto si ingrigiva. In quel momento la vita gli ha fatto trovare Luisa, la donna con cui ancora oggi trascorre i giorni. «L’ho vista distribuire volantini che promuovevano una marcia per i diritti dei rifugiati richiedenti asilo. Abbiamo iniziato a parlare e da lì non abbiamo più smesso. Lei mi è stata vicino senza giudicarmi. Mi ha consigliato di iniziare un lavoro psicoterapeutico, grazie al quale ho dato un significato alla mia dipendenza, ho preso contatto e curato la mia parte fragile. Oggi i video non li guardo quasi più».

E conclude: «Sono uscito dal tunnel. Eppure, mi lascia sgomento osservare come le persone quando si parla di dipendenze non vedano la fragilità sottostante e le ferite dalle quali esce tanta sofferenza. C’è poi la sensazione che in questo mondo non ci sia spazio per te, e nessun alleato in grado di accompagnarti. Dovremmo aiutarci a vicenda, invece di giudicarci. Questo è l’insegnamento che conservo dentro di me».

Maria Delfino

INCHIESTA: Una prigione invisibile

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