Nel Meridione una persona su quattro lavora in condizioni d’illegalità. Lo dice l’Istat (Istituto nazionale di statistica), che stima siano intorno all’11,9 per cento gli occupati irregolari nel nostro Paese. Forse la “valvola” – ben presente anche da noi, al Nord – per mantenere in piedi un sistema economico, che ha risentito fortemente della crisi?
Sulla situazione sociale nazionale influiscono pure i moltissimi contratti precari e la disoccupazione, che non accenna a scendere – il dato è comune all’Europa – sotto il 10 per cento.
Nell’Unione 42 milioni di persone sono “materialmente indigenti” – cioè vivono in condizioni limitate dalla mancanza di risorse essenziali – e 81 milioni sono a “rischio povertà”. In Italia – dove risiedono quasi 5 milioni di immigrati e gli over 65 superano gli under 15 – sono “materialmente indigenti” 8 persone su cento.
A questi dati, che aprono il recente dossier prodotto dal centro studi della fondazione Cassa di risparmio di Cuneo – La crisi in Europa e in Italia. La situazione in provincia di Cuneo: una ripresa fragile e condizioni sociali difficili –, guidato da Franco Chittolina, fanno eco le parole del Wall street journal: «L’Italia, terza economia dell’eurozona per ricchezza prodotta, non è come la Grecia e l’Irlanda: non è stata vittima di una bolla immobiliare né di un crollo del sistema finanziario. Ma l’Italia è come il Portogallo, che finora è riuscito a evitare i problemi di Grecia e Irlanda, ma cresce così lentamente che le entrate fiscali potrebbero non coprire il debito. La notizia peggiore è, invece, che l’economia italiana vale quasi il doppio di quella della Spagna, Paese considerato troppo grande per fallire, ma del quale le istituzioni finanziarie europee difficilmente potrebbero garantire il salvataggio».
In Italia oltre un giovane su quattro (il 29 per cento, contro la media europea del 18,9) nel 2010 non ha studiato né lavorato, mentre metà delle donne in età lavorativa ha rinunciato a cercare impiego (peggio di noi fa solo Malta).
Sono i numeri più impressionanti – citati da Chittolina nel suo dossier – del fenomeno disoccupazione, che si attesta in Italia tra il 9 e l’11 per cento (la percentuale, secondo le logiche del bel Paese, diverge per il Ministero dell’economia o Bankitalia).
Nel 2010, inoltre, il nostro Paese ha registrato una crescita del Pil dell’1 per cento: troppo poco, tanto che ne hanno risentito l’occupazione e la cassa integrazione, quest’ultima aumentata ancora del 31,7 per cento sul 2009. Inutile dire che i consumi languono, bloccati, secondo l’Istat, al livello del 1999.
«In Piemonte e in provincia di Cuneo si rilevano comunque deboli segnali di ripresa, che vanno letti con attenzione, poiché il confronto risulta operato con il 2009, quando la crisi era in piena espansione», spiega però Chittolina, il quale prosegue: «Permane a livello occupazionale e sociale una situazione grave, che non può essere sottovalutata, specie appellandosi ai deboli segnali di ripresa della produzione industriale, non ancora in grado di fare invertire in maniera decisa il trend dell’occupazione ».
In effetti, per il tessuto produttivo cuneese si contano tre trimestri consecutivi di lieve crescita e, nel periodo luglio-settembre 2010, la variazione tendenziale grezza della produzione industriale si è elevata di 6,8 punti percentuali sul medesimo periodo 2009. In Piemonte, Biella segna un incremento della produzione del 21,1 per cento, Torino del 5 e Cuneo del 7, in linea con la media regionale. Va bene anche l’export cuneese, che registra 4 miliardi di euro di prodotti e servizi diretti verso l’estero, con un aumento sul 2009 dell’8,8 per cento. Preoccupano invece i numeri legati a occupazione, cassa integrazione e mobilità.
«La situazione su questi fronti pare ancora lontana da una vera ripartenza», commenta ancora Chittolina. In provincia di Cuneo nel 2010 è diminuita del 63 per cento la richiesta di cassa integrazione ordinaria (in Piemonte siamo a -54,7 per cento rispetto al 2009),ma sono aumentate del 137 per cento la cassa integrazione straordinaria (+159 in Piemonte) e la cassa integrazione in deroga (+226 a fronte di una media regionale in aumento del 218 per cento). Le assunzioni nel cuneese segnalano, per contro, un incremento del 5,9 per cento, con una buona ripresa nell’industria (+15,6 per cento). Gli uomini occupati aumentano del 12 per cento, ma le donne, tradizionalmente più impegnate nei servizi, restano al palo (+0,2 per cento).
Approfondendo il quadro dell’occupazione si legge, tuttavia, il fermo dell’apprendistato (-0,1 per cento), il boom dei contratti di somministrazione (+36 per cento), la crescita del lavoro intermittente (+19,6 per cento) e dei contratti d’inserimento (+11,29). È la precarietà a vincere, dunque.
Ma c’è chi si consola: almeno si lavora. «Alba è il bacino territoriale in cui la ripartenza delle assunzioni è più debole, raggiungendo solo i 2,5 punti percentuali », riferisce Franco Chittolina, parlando del cuneese, «mentre Fossano è quello che conosce la migliore ripresa, con un tasso di avviamenti superiore al 10 per cento sul 2009, grazie soprattutto al dato dell’industria (+17 per cento).
Guardando ai singoli settori, nell’albese sono il tessile-abbigliamento (+77 per cento) e la chimica (+34 per cento) i più performanti, mentre fanno registrare tassi ancora molto negativi i servizi familiari (-40 per cento), quelli sanitari e di assistenza (-13 per cento) ».
Infine, piccole luci nel buio della crisi vengono dalle liste di mobilità (i lavoratori licenziati): rispetto al 2009 diminuiscono nel 2010 dell’1,9 per cento gli iscritti piemontesi, mentre nel cuneese il calo medio è del 5,5. Ad Alba, però, la mobilità è in aumento del 7,5 per cento; segno più anche a Fossano e Saluzzo (+15 e +12), mentre a Cuneo la discesa è del13 e Mondovì del 43.
Maria Grazia Olivero