Quando, negli anni scorsi, a Torino, la situazione dei profughi ospitati in diverse strutture della città stava diventando insostenibile, Migrantes ne sistemò alcuni sul territorio piemontese. Ad Alba, grazie alla collaborazione della cooperativa Orso, arrivarono dapprima due donne, poi tre ragazzi, a cui fu offerto d’inserirsi nella comunità con un lavoro, una casa e una nuova vita.
A sentire Abderashid, che con il sorriso ci racconta gli ultimi tre anni della sua vita, non certo facili, la missione è compiuta. «Sono partito da Mogadiscio e ho viaggiato in tutti i modi: in auto fino a Gibuti, a piedi attraverso l’Eritrea, di notte, scappando e nascondendomi. Quando siamo partiti in barca, eravamo 46 persone, senza spazio, cibo, acqua», racconta il somalo. «Poi, finalmente, siamo sbarcati a Lampedusa. Non dimenticherò mai quella terra. Poi, mi sono spostato a Roma, da dove mi hanno consigliato di andare a Torino. Ero preoccupato, perché non avevo soldi per il biglietto; mi hanno consigliato di salire e, quando i controllori mi facevano scendere, di risalire sul treno successivo. A Torino sono rimasto otto mesi, rifugiato nell’ex ospedale di corso Peschiera. Eravamo tantissimi, da ogni parte dell’Africa, con poco da mangiare e bere».
«Alla fine ci hanno destinati, in piccoli gruppi o famiglie, in diverse zone del Piemonte. E io sono arrivato ad Alba. Tante persone mi hanno accolto, tanta gente buona che è venuta a salutarmi quando sono andato in mensa la prima volta. Ci hanno aiutati a trovare casa e un lavoro e io sono grato e non dimentico le associazioni, le persone e i gruppi che ci sono stati vicini (li elenca tutti, ma sono davvero tanti! ndr).
Oggi vivo con i due amici arrivati con me e faccio i turni a Govone; mi piace il lavoro, l’ambiente e tutti i miei colleghi, sempre così gentili. Mi piacerebbe tornare a casa, in Somalia, dove ho la famiglia e mia moglie, che non vedo da tre anni. Tutte le sere ho nostalgia. Ma è difficile, da vent’anni c’è la guerra e non si vedono spiragli di pace. Per adesso sono albese e spero di poter rimanere e che mia moglie mi possa raggiungere. Magari anche avere dei figli qui. Come me, che quando sono arrivato ad Alba, sono rinato».
Cristina Borgogno