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Bressano, in Famija dal 1955

Ha lasciato la guida della Famija albèisa in silenzio, com’è sempre stato nel suo stile propositivo, aperto al dialogo e rispettoso dei ruoli. Giovanni Bressano ha scelto di non ricandidarsi, lasciando ad Antonio Tibaldi, eletto presidente dal Consiglio direttivo. Gazzetta l’ha intervistato. Bressano, pur rimanendo nel gruppo dirigente lascia il timone della Famija albèisa dopo 35 anni consecutivi. «Entrai in contatto con la Famija nel maggio 1955, quando presso la tavernetta dell’hotel Savona firmai la domanda numero 107 come aspirante socio, su invito del farmacista Luciano Degiacomi. Il 1975 fu un anno cruciale, perché nella ricorrenza dei vent’anni della fondazione iniziò il mio periodo di presidenza in Famija. I quattro predecessori avevano contribuito a definire una precisa personalità giuridica per il sodalizio, creando una buona immagine. Mi concentrai per ottenere il riconoscimento di ente morale da parte del Presidente della Repubblica, requisito indispensabile per mettere in campo attività volte alla protezione del Bressano Carta D'Identitàprezioso patrimonio storico, culturale e paesaggistico della città».

Quali sono le attività di cui va più fiero?

«Il restauro e la gestione della chiesa di San Domenico, la Kulinarische Genüsse, che si tiene ogni due anni a Böblingen dal 1991, e la pubblicazione di una sessantina di testi, tra i quali i cinque volumi sulla storia di Alba. Di pari importanza le iniziative legate al Carlevé benefich, al coro Stella alpina e alla compagnia teatrale Marianna Torta Morolin».

La politica del fare ha reso vivo il rapporto tra Famija, città e il turismo. Come sono stati i rapporti con le Amministrazioni?

«I complimenti fanno sempre piacere e rinfrancano, ma da soli non bastano. Si è sempre cercato un dialogo costruttivo a tutti i livelli istituzionali, dimostrando le nostre capacità e la necessità di essere sostenuti economicamente. Le relazioni intercorse sono state soddisfacenti, specie da quando la Kulinarische è entrata nel novero delle manifestazioni a livello regionale, grazie all’interessamento dell’assessore Alberto Cirio».

Durante il suo mandato ultratrentennale la città è mutata. Ritiene che la dotazione delle opere pubbliche sia carente o buona?

«È una sofferenza pensare che Alba, a oltre 60 anni dalla Liberazione, debba confrontarsi con una cattiva organizzazione stradale. Anche se non isolata, la capitale delle Langhe è difficilmente raggiungibile, nonostante l’importanza economica che ricopre in provincia. È impensabile non riuscire a realizzare un traforo di sbocco verso il mare. Come Famija albèisa abbiamo prodotto diversi esposti, anche in merito al collegamento autostradale. Ritengo che un buon amministratore debba possedere una lungimiranza tale da proiettare lo sguardo non ai successivi dieci anni, ma ai prossimi cinquanta».

Alessio Bottigliero

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