Una bufera s’avvicina, componendosi dei frammenti di tutte le stanchezze, le delusioni e i tradimenti sopportati. A consultare i risultati delle elezioni amministrative del 6 e del 7 maggio non c’è dubbio sul fatto che qualcosa si stia muovendo. Il Popolo delle libertà sceso a picco, il Partito Democratico congelato, la Lega Nord ammaccata dagli scandali per i rimborsi elettorali. Il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo – un (ex?) comico – che agguanta l’etichetta di «terza forza politica del Paese».
Il calderone è pieno, tanti possibili futuri attendono: cosa si profila, quali i desideri e i timori della gente? Come riuscirà il Paese a divincolarsi? A questi quesiti hanno provato a rispondere le Acli (Associazioni cristiane lavoratori italiani), pubblicando la scorsa settimana un sondaggio «alternativo». Arriva la rivoluzione? Dicono le rilevazioni: per uscire dalla crisi, secondo gli italiani si deve puntare su una maggiore equità (24,9 per cento) e moralità (22,8 per cento), ma anche sulla competenza delle classi dirigenti (18,5 per cento) e sull’innovazione (12,7 per cento). C’è attenzione alle dinamiche “gestionali”, ma anche ai vizi o alle virtù che sotto di esse si nascondono. Il sondaggio fa emergere come il 74,8 per cento degli intervistati ritenga che siano i cittadini più agiati a dover sopportare il carico maggiore della recessione. Alla domanda «chi ci toglierà dalla crisi?» gli intervistati hanno risposto che «non importa che sia uomo o donna, sposato o cattolico»: il leader futuro sarà giovane (53 per cento), laureato (49 per cento), se necessario professore universitario (37 per cento). Dati più eclatanti spuntano alla domanda: «come cambiare il Paese?».Per la maggioranza degli italiani (50,9 per cento) la strada da seguire è quella riformista, con interventi graduali e condivisi ma anche impopolari. Non mancano gli atteggiamenti radicali: quasi un terzo del campione (32 per cento) identifica nella «rivoluzione» l’unico mezzo utile a trasformare lo status quo. Ma il 17,2 per cento sostiene che «questo Paese non cambierà mai».
Alba tra dieci anni. Ci ha provato pure Gazzetta: abbiamo conversato telefonicamente con un campione di albesi: quattro studenti, tre padri e madri di famiglia (due operai, un operatore sociale), due impiegati, due casalinghe, tre liberi professionisti, tre pensionati. Le domande hanno seguito la falsariga del sondaggio Acli; quindi abbiamo chiesto agli intervistati di ripetere il questionario con un loro conoscente (di cui non sappiamo nulla) e di riferire i risultati. In sintesi: circa due su tre pensano che «Alba senta meno la crisi rispetto al resto del Paese»; che in città «non prenderanno piede forze radicali» per via del contesto riservato e provinciale; che «gran parte del merito della “tenuta” albese è da attribuire a una o due grandi aziende». Sul fronte negativo, tre intervistati credono che «Alba possa resistere più a lungo, ma è il sistema che non funziona perché sorretto da ideali compromessi: prima o poi si arriverà comunque a un collasso».
La città del futuro. In media, il piccolo campione di albesi se la immagina (o meglio: la desidera) più ecologica, con meno vetture in centro e una maggiore valorizzazione delle aree verdi oggi marginali (come il Parco Tanaro), delle strutture e dei fabbricati inutilizzati. Più «artistica» e movimentata – il dato emerge soprattutto nelle risposte dei giovani– con punti di aggregazione, locali notturni e rassegne artistiche disseminate lungo l’intero anno e non solo in certi periodi. È l’Alba immaginata, l’Alba del futuro, dovrà essere più «moderna», dato che quattro dei nostri intervistati sognano una città dotata di wi-fi gratuito. Uno di essi addirittura propone «installazioni urbane ad effetto, opere d’arte contemporanea che sappiano attrarre turisti e recuperare un’attrattività non solo legata al contesto enogastronomico o collinare». Quanto al «leader del futuro», quasi tutti gli albesi interpellati credono che non sia rilevante l’appartenenza politica, ma le qualità umane e i valori. Nessuno dichiara sconforto o disperazione. La progettualità rimane solida, la tensione costruttiva pure. La volontà non è di contemplare le macerie, ma di riedificare.
Matteo Viberti
Leggi anche: