Parlare di morte ai giovani

IL CASO Ci sono aree in cui neppure il pensiero osa avventurarsi liberamente, zone d’ombra da scansare perché veicolo di sconforto e impotenza. La morte è uno dei temi rimossi dai discorsi, dato che qualsiasi tentativo di comprensione razionale o di spiegazione logica s’infrange contro di essa. Nell’epoca in cui le emozioni sono marginalizzate, in pochi osano parlarne. I più scelgono vie di fuga quali l’ironia, la minimizzazione o la negazione.

Il progetto realizzato da Patrizia Scanu (docente di psicologia e scienze sociali al liceo Da Vinci di Alba) e da Mauro Milanesio (medico di famiglia presso l’Asl Cn2) si propone d’infrangere questo tabù, di riportare al centro della conversazione il tema della morte, attraverso una conferenza dal titolo Parlare della morte con gli adolescenti (martedì 13 novembre, dalle 15 alle 17, presso i locali del Da Vinci). L’incontro sarà rivolto ai docenti delle scuole secondarie della provincia di Cuneo e dunque racchiude un obiettivo: inserire nel palinsesto didattico una riflessione capace di abbracciare il tema della fine, riformulandolo.

L’incontro sarà dedicato all’adolescenza, un periodo esistenziale di forte ristrutturazione identitaria per l’individuo, durante il quale le emozioni giocano un ruolo cruciale. La paura della morte, come causa e conseguenza del dolore psicologico, sovente congela le possibilità evolutive e rappresenta un sintomo da comprendere invece che da esorcizzare.

La conferenza proseguirà in un secondo capitolo, questa volta di stampo clinico: Scanu e Milanesio il 22 novembre (ore 20.45), sempre presso i locali del Da Vinci, interverranno all’incontro dal titolo “Dove va la coscienza quando il cervello muore? Un’ipotesi neurologica sul morire e sulle esperienze pre-morte”.

Matteo Viberti

DA VINCI In classe si esorcizza il fine vita

L’esperimento di introdurre la riflessione sul tema della morte, e in particolare delle esperienze pre-morte (anche chiamate Nde: vedi intervista a lato) nel dialogo con gli alunni è stato realizzato dalla professoressa Patrizia Scanu, nelle scorse settimane, presso le classi albesi del Da Vinci. Gazzetta ha poi ricontattato i ragazzi per capire cosa sia cambiato nel loro mondo interiore dopo la delicata esperienza. Ci ha spiegato Manuela: «I resoconti di coloro che hanno vissuto un’esperienza di pre-morte sembrano testimoniare l’esistenza dell’aldilà: la luce, il tunnel, le sensazioni di beatitudine ci inducono a pensare a una dimensione ultraterrena. Per questo la morte mi fa meno paura».

Il terrore dell’ignoto viene ridimensionato: addirittura, si tramuta in qualcosa di costruttivo. Come ci ha confidato Roberto: «Dopo la conferenza sulle Nde ho provato in parte curiosità e in parte sollievo riguardo al pensiero della morte». E Angela, della stessa classe: «Prima avevo una visione della morte totalmente negativa. Ora sono più consapevole: anche se non posso sostenere di aver completamente perso ogni paura, ora conosco i meccanismi che si creano nella mente negli attimi che precedono il momento della morte e quindi so che, almeno per la mente, non rappresenta esperienza così devastante come credevo».

Insomma: la parola assume una funzione catartica, capace di “demitizzare” la morte, di immortalarla come esperienza normale e appartenente all’ordinario ciclo di vita, e come sinonimo di trasformazione invece che di interruzione.

m.v.

La donna che infrange i tabù

INTERVISTA Parliamo con Patrizia Scanu, docente di psicologia al liceo delle scienze sociali Leonardo Da Vinci di Alba e relatrice del convegno del prossimo 13 novembre.

Affronterete l’esperienza della morte. Quale il significato di questo concetto “negato” e, psicologicamente parlando, rimosso dal modus pensandi della società contemporanea, Scanu?

«Come hanno scritto in parecchi la morte è il grande tabù dell’Occidente odierno. La nostra è una società che cerca di dimenticare e di esorcizzare la morte in ogni modo: con il giovanilismo a oltranza, con il mito dell’efficienza, con l’eccesso di stimoli in ogni momento della giornata, con lo stordimento nel consumo e nel divertimento… Tutto, pur di non pensare all’unica cosa certa della vita e cioè che moriremo e non abbiamo nessuna idea del quando».

Non è sempre stato così.

«I filosofi greci hanno tematizzato il ruolo centrale della morte e la necessità di prepararsi. La meditatio mortis era una pratica comune fra i monaci medievali. La morte fa paura, perché rappresenta l’ignoto. E il materialismo scientifico dominante nella società contemporanea ci fa temere che la morte coincida con l’annullamento della coscienza, con la fine di tutto».

Perché la morte non dovrebbe spaventare?

«Quello che abbiamo scoperto studiando la letteratura scientifica sulle esperienze di pre-morte – ovvero le Nde – e le descrizioni date del morire in diverse culture e in diverse epoche è che c’è nulla di spaventoso nella morte. Noi vogliamo parlare della morte non con toni lugubri, ma raccontare come il contatto con la morte abbia cambiato tante persone in meglio, aprendo una dimensione umana e spirituale nuova, in cui la paura della morte non ha più posto».

Comesi collega questo discorso all’adolescenza, ovvero alla fascia con cui lei ogni giorno, rispetto alla sua esperienza di insegnante, entra in contatto?

«Gli adolescenti sono molto interessati alla morte. Il cervello in questa fase dello sviluppo diventa capace di rappresentarsi il futuro e di porsi domande sul senso della vita. La morte li sfiora in ogni momento: attraverso i media, attraverso l’esperienza della morte di parenti o di coetanei, attraverso la malattia. Molti giovani vorrebbero trovare un adulto che parli loro della morte. Qualche anno fa, un gruppo di allieve di prima superiore venne a cercarmi. Il giorno prima era morta una loro amica e coetanea ed erano angosciate. Mi chiesero di parlare loro della morte e rimasero lì, per quasi un’ora, ad ascoltarmi. Quanti ragazzi hanno questo bisogno? Noi pensiamo tanti. Spesso, la paura della morte si accompagna alla sfida: guida pericolosa, abuso di sostanze, anoressia, pensieri o tentativi di suicidio».

Matteo Viberti

Quel tunnel che porta verso la pace

INTERVISTA Parliamo con Mauro Milanesio, medico dell’Asl Cn2 Alba-Bra, relatore del convegno del 13 novembre e promotore di una teoria filosofico-neurologica avanguardistica sulle cosiddette Nde, le esperienze pre-morte.

Che cosa sono le Nde, Milanesio?

«Le esperienze di pre-morte (in inglese Near death experience, Nde) sono le esperienze vissute e descritte da soggetti che, a causa di malattie terminali o di eventi traumatici, hanno sperimentato fisicamente la condizione di coma, di arresto cardiocircolatorio e/o di elettroencefalogramma piatto, senza tuttavia giungere fino alla vera e propria morte. Riguardano dal 5 al 15 per cento della popolazione globale. Queste persone riferiscono con un notevole grado di accordo un’esperienza molto vivida e reale di distacco dal corpo, di assenza di sofferenza, di visione di un tunnel, di una sensazione di pace e di amore infiniti, di una revisione della loro intera vita, di un’accoglienza da parte di cari defunti».

Che cosa accade quando queste persone riacquistano coscienza?

«Quando riacquistano coscienza la loro vita è trasformata completamente. I loro valori cambiano, si aprono alla dimensione spirituale, all’amore e alla conoscenza, diventano più sensibili e compassionevoli. Ma, talvolta, non trovando accoglienza nei familiari e nei medici, si chiudono in un silenzio di decenni sulla loro straordinaria esperienza».

Qual è l’ipotesi sul fenomeno delle Nde, collegata al concetto neurologico di coscienza?

«Il sistema nervoso centrale che si avvia verso la morte subisce un progressivo esaurimento, una sottrazione di energia neurologica o, come la chiamano alcuni, di “anima”. A questo decremento corrispondono in ordine sequenziale le percezioni descritte riguardo alle Nde: distacco dal corpo, visione del tunnel, sensazione di pace, eccetera. Dunque, man mano che diminuisce l’energia neurologica la coscienza sembra amplificarsi e liberarsi».

Che cosa vuol dire?

«Questo fenomeno suggerirebbe come la coscienza possa esistere al di là del cervello. Per quanto mi riguarda, durante la mia esperienza professionale albese e braidese, ho assistito personalmente, tramite racconti di pazienti o dinamiche cliniche, a numerose esperienze di pre-morte. Tutte le descrizioni degli interessati coincidevano sempre nella forma e nei tempi: man mano che l’energia neurologica diminuiva, incrementavano i vissuti di tipo gioioso e positivo».

m.v.

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