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Il fantastico mondo dei Centri attività minori

Canale, per un’educazione comunitaria

Il Cam di Canale lo racconta Alessia Destefanis. Partiamo dal generale: quale la vostra struttura, l’idea-fondamentale che sostiene la relazione con i ragazzi?
«Da quest’anno il Cam di Canale si svolge nei locali scolastici, usufruendo delle aule e degli spazi messi a disposizione. Rispetto all’anno scorso c’è stato un aumento degli iscritti, che sono venti,  in maggioranza delle elementari. Per i ragazzi delle medie è stato attivato il servizio mensa, mentre i bambini delle elementari arrivano alle 16.15, terminata la scuola. Dopo la merenda si inizia a fare i compiti per poi dedicarsi al gioco, libero o più strutturato, proponendo alcuni laboratori manuali e musicali. Crediamo nell’importanza del Cam quale spazio di incontro, relazione, integrazione e crescita».
Dal punto di vista emotivo, quali le principali difficoltà di un operatore che si interfaccia con ragazzi e bambini sovente provenienti da contesti socioculturali difficili?
«È difficile dal punto di vista emotivo lavorare con ragazzini che portano esigenze molto diverse fra loro. Bisogna trovare il giusto equilibrio tra le necessità di ogni singolo bambino e il gruppo allargato. I pericoli psicologici che un operatore può incontrare sono legati alla gestione delle relazioni e al senso di impotenza e scoraggiamento derivati dalle difficoltà quotidiane».
Sapresti racchiudere in un’immagine il vostro servizio?
«Ad esempio il tavolone da noi realizzato con i visi speranzosi, concentrati e distratti allo stesso tempo. Ma anche la curiosità, la felicità del gioco, la fatica ma anche il desiderio di migliorare e crescere insieme».
Come viene percepito il Cam dalle istituzioni, dai genitori, dall’opinione pubblica?
«È importante la concezione che ha la comunità del servizio. La collaborazione con le figure educative del territorio, i docenti e le famiglie permetterà di credere davvero in un’educazione comunitaria». m.v.

Santo Stefano «È così semplice stringere la mano di un bambino e insegnarle a disegnare?»

Elena Cauda è operatrice del Cam di Santo Stefano Roero. Il vostro centro è nato nel 1999: quale la vostra filosofia?
«Siamo un servizio della Parrocchia gestito in collaborazione con Comune, il Consorzio socio assistenziale e cooperativa Ro&Ro. Lo spazio ed il tempo sono organizzati per permettere un reale protagonismo di bambini e ragazzi. Il condurre in prima persona le esperienze, lo sperimentarsi in differenti situazioni e, soprattutto, la possibilità di dare significato alle stesse sono alla base della proposta di crescita. I ragazzi, oltre alle competenze scolastiche, imparano un “fare quotidiano”, un saper stare in relazione e a socializzare, acquisiscono autostima e fiducia nelle proprie capacità e prendono consapevolezza. Inoltre i ragazzi vivono relazioni positive con figure per loro positive, oltre a genitori o  insegnanti».
Cosa accade nel “micro mondo” del vostro Cam?
«Abbiamo la fortuna di avere a nostra disposizione ampi spazi: un cortile, il campo sportivo, la piazza principale adiacente alla Parrocchia ancora vissuta come luogo di ritrovo e aggregazione per i giovani. Il Cam ha svolto un importante ruolo nel creare un polo socializzante in un paese che per la conformazione del territorio, gli incontri sono difficili. Le attività, oltre all’affiancamento per i compiti, sono di tipo ludico. Attraverso il gioco libero ed organizzato i ragazzi imparano a rispettare un quadro normativo, attività manuali-espressive come pittura e cucina. Laboratori e corsi vedono coinvolte anche utenti e tutor esterni, come nel caso del corso di equitazione».
Cosa fareste se disponeste di maggiori risorse economiche per organizzare il Servizio?
«Potremmo organizzare laboratori e corsi che necessitano l’acquisto di maggiori strumentazioni o personale professionalmente preparato, per dare la possibilità ai ragazzi di vivere esperienze positive che diversamente non farebbero».
C’è un’immagine o un aneddoto del lavoro di quest’anno che ti è rimasta più impressa, che meglio sintetizza lo “spirito” del Cam?
«Uno degli interventi che mettiamo in atto è la peer education, dove è l’appartenenza a un gruppo che aiuta a comprendere che alcuni comportamenti personali sono a rischio. Il dedicarsi e fare qualcosa per gli altri a volte è più costruttivo e edificante di mille parole. Un esempio può essere la Tombola di Carnevale dove, oltre ad aver reperito i premi – anche privandosi di oggetti personali – i ragazzi sono stati coinvolti nella gestione diretta».
Quali le emozioni più difficili che si respirano nel lavoro di gruppo?
«Le insicurezze personali e la paura di non essere all’altezza in alcune situazioni sono le difficoltà principali. Per questo si cerca di educare i ragazzi a una presa di coscienza delle loro grandi potenzialità, cercando di metterle in evidenza e dando loro la possibilità di svilupparle». m.v.

Montà, cosa significa educare in un contesto di provincia

Mirko Calorio, tu lavori a Montà. Spesso i Cam sono identificati come spazi-doposcuola, dedicati principalmente allo svolgimento dei compiti. Cosa accade nella vostra realtà?
«Da quest’anno anche lo Spazio Aperto medie, come il Cam elementari ormai da tempo, ha a disposizione i locali scolastici. Organizzato su quattro giorni, lo spazio aperto My space (per le medie) vede coinvolti quattro operatori a rotazione, e da novembre anche una mamma volontaria che si è rivelata una preziosissima risorsa. Lo Spazio Aperto riparte a ottobre, dandosi come obbiettivo principale la relazione ragazzi-operatori e lo svolgimento dei compiti. Tale scelta metodologica ha origine da bisogni espressi sia dalle famiglie sia dalla scuola stessa. Compiti dunque, ma non solo: i pomeriggi, strutturati a seconda dei giorni, vedono alternarsi diversi momenti dedicati all’accoglienza, ai compiti, alla merenda e ai giochi-laboratori. Questi ultimi hanno l’obbiettivo di fornire ai ragazzi uno spazio di confronto, riflessione e gioco su temi di attualità e culturali. A tal proposito un esempio è dato dal laboratorio sulla comunicazione aumentativa-alternativa».
Passiamo al concetto più importante, quello di “sfida”?
«Le principali sfide che gli operatori si trovano ad affrontare sono legate all’organizzazione quotidiana delle attività (che varia a seconda della affluenza dei ragazzi), all’importanza di concentrarsi sul mandato educativo nei loro confronti e alla risposta delle richieste specifiche dal punto di vista scolastico. Tutto questo avviene nella consapevolezza di dover essere innanzitutto un punto di riferimento relazionale. Un riferimento in grado di gestire e affrontare le “crisi” evolutive e le difficoltà portate dai ragazzi. Ogni giorno».
Qual è la vostra mappa, l’obiettivo che guida il vostro operato?
«Le attività proposte ai ragazzi hanno l’obbiettivo di favorire l’integrazione e la coesione del gruppo attraverso laboratori-giochi mirati a sollecitare il senso critico, incentivare l’espressione delle singole personalità e la partecipazione di tutti. In tal senso, un ruolo importante è giocato dal momento dei compiti, teatro di episodi particolari come questo: due ragazzi si sono trovati, in uno dei pomeriggi più affollati, a darsi una mano con i compiti di matematica. Uno dei due, spiegando lo svolgimento di un esercizio al compagno, in un momento di difficoltà nel trasmettere la procedura all’amico, si è rivolto all’operatore dicendogli di aver compreso la difficoltà del suo lavoro, insita nel riuscire a spiegare un concetto in modo sufficientemente chiaro e comprensibile».
Cosa significa realizzare queste filosofie in un contesto di provincia?
«Lavorare come operatore in uno spazio aperto di provincia, a nostro avviso, comporta notevoli vantaggi, ma anche importanti criticità. Operare in situazioni di frontiera in una grande realtà è molto più complesso dal punto di vista del mandato educativo e relazionale.  D’altro canto, lavorare in provincia significa numeri ridotti, e forse maggiori possibilità di gestire al meglio il patto educativo con le famiglie. Ma la diversa capillarità nella distribuzione degli operatori e la minore disponibilità economica rappresentano  alcune delle criticità del lavoro nelle piccole realtà». m.v.

Ceam del Duomo, progetto d’avanguardia

Marco Sugliano, 25 anni, ci racconta cosa accade presso il Ceam del Duomo. Partiamo dal nome. Perché la denominazione Ceam, invece che la tradizionale sigla Cam?

«Ceam significa Centro Educativo Attività Minori. La dicitura “educativo” si riferisce al servizio che intendiamo offrire, che non si limita all’accoglienza ma mira alla crescita, allo sviluppo, alla maturazione dell’identità individuale e gruppale, alla socializzazione e all’integrazione dei ragazzi. Ci ispiriamo alla filosofia di Rudolf Steiner, alla sua tripartizione teorica dell’organismo umano. Seguiamo una metodologia educativa non autoritaria. Abbiamo istituito il cartellone delle cosiddette “regole del fare”. Abbiamo ridimensionato il significato del rifiuto, della parola “no”. La negazione comunicativa – anche nelle piccole interazioni quotidiane – non deve mai essere fine a se stessa, ma dev’essere accompagnata dall’offerta di un’alternativa».

Quali sono alcune attività proposte per “realizzare” questa filosofia?

«Al Ceam siamo tre operatori, tutti al di sotto dei 25 anni. Seguiamo circa 30 utenti, di età compresa tra gli 11 e i 15 anni. La commistione di ragazzi provenienti da scuole medie e superiori garantisce la possibilità di imparare a convivere con esperienze diverse, di sperimentare il supporto reciproco e di confrontarsi con la differenza. Tra le altre cose, il lavoro che proponiamo è di “laboratorio”. Un esempio è quello per lo “sviluppo del senso critico”, una sorta di cerchio in cui i ragazzi possono affrontare la discussione su un tema specifico o conversare liberamente grazie alla moderazione “intelligente” degli operatori. A breve avvieremo anche il laboratorio di “alta cucina”. Lo chef stellato di fama internazionale, Davide Palluda, ha già espresso la propria disponibilità a partecipare come conduttore dell’attività».

Pensate che il mondo della socio assistenza e dell’educazione possa sopravvivere alla crisi?

«Il contesto socio assistenziale è caratterizzato da forti difficoltà strutturali, ma siamo convinti che grazie alla passione, alla fiducia, alla ricerca, alla sperimentazione di metodologie alternative, all’amore per il lavoro – sempre operando nell’interesse dei ragazzi – le cose torneranno a posto».

Matteo Viberti

Divin  Maestro: un’emozione crescente nel tempo del consumismo

Marianna Rudino, operatrice: il vostro Cam opera in un quartiere caratterizzato da elevata presenza straniera. Quali i vostri “connotati” principali, Marianna?

«Siamo aperti tre ore al giorno, per tre giorni alla settimana. Accogliamo circa 14 ragazzi delle medie di diverse nazionalità (marocchina, tunisina, senegalese e qualche italiano). Quest’anno sono l’unica educatrice, ma sono coadiuvata da un altro operatore – giunto poco tempo fa per rispondere a una particolare esigenza – da alcuni volontari della parrocchia e dal alcune studentesse del liceo Leonardo Da Vinci, presenza preziosa ed impagabile».

Dal punto di vista “filosofico”, qual è la logica delle vostre pratiche educative?

«Il nostro Cam è uno spazio di incontro e conoscenza in cui i ragazzi hanno l’opportunità non solo di svolgere i compiti, ma anche attività sportive e creative. Questo Cam vuole essere uno spazio che cerca di rispondere ad esigenze diverse, provenienti da scuola, famiglia, quartiere, religione e diversa cultura di provenienza, mantenendo sempre al centro i ragazzi e le loro peculiarità. Questo spazio viene vissuto dai ragazzi come un luogo non solo adatto a “fare i compiti”, ma anche a relazionarsi ed esprimere la loro personalità».

Sapresti raccontare un aneddoto, un’immagine che racconti questo pensiero?

«Mi viene in mente quando abbiamo realizzato i bigliettini di Natale: molti dei nostri ragazzi sono musulmani, ma hanno voluto realizzare comunque i bigliettini. Chi per la mamma, chi per il compleanno della sorella, chi per le amichette, aiutandosi vicendevolmente a disegnare, colorare e trovare idee da realizzare. Un aneddoto che mostra come i ragazzi abbiano imparato ad aprirsi verso mondi possibili, conoscibili grazie allo scambio e all’interazione tra realtà e culture differenti. Il Cam ha nel suo Dna l’ambizione di essere uno spazio dove i ragazzi possano sentirsi accolti, ma allo stesso tempo spronati a crescere, a maturare individualmente ma anche in gruppo, a interagire tra di loro».

Parliamo dei “nuovi arrivi”. Cosa accade quando un ragazzo “entra”?

«Un mese fa è giunto un ragazzino che nessuno di noi conosceva. I ragazzi lo hanno invitato a giocare con loro e dopo pochi  minuti tutti sapevano il suo nome. lo incitavano a dare il meglio di sé come fosse “uno di loro”. Un episodio che vale più di mille parole. “Stare insieme significa gustare un’emozione crescente, un eco ed un’amplificazione senza fine” diceva John Updike».

Cosa pensi del contesto sociale e culturale in cui i ragazzi si trovano a crescere?

«La nostra epoca si comporta con i talenti dei bambini con la stessa mancanza di responsabilità che con le scarse risorse naturali: la frase è di  Beck. I ragazzi crescono in un mondo alienato, in una società che sembra esclusiva rincorsa del denaro, con marcata tendenza all’omogeneizzazione.  Avendo ben presente queste difficoltà al centro del Cam ci sono proprio loro, i ragazzi. Il nostro intento è creare un ambiente sereno, colmo di aiuti di vario genere che permetta di esprimersi attraverso il canale a loro più congeniale».

m.v.

Santi Cosma e Damiano: quando la multiculturalità diventa opportunità

Maarjia Raudsepp  racconta la propria esperienza come operatrice. Qual è l’identità del vostro Cam?

«Siamo in tre, seguiamo per due ore e mezza al giorno circa 25 ragazzi delle elementari. Quasi tutti stranieri: abbiamo bambini marocchini, albanesi, cinesi, rumeni. L’aspetto multietnico e multiculturale pone innumerevoli sfide, ma garantisce quotidiane soddisfazioni».

Puoi farci un esempio?

«Un giorno, ad esempio, una bambina cinese che non sa pronunciare correttamente le parole italiane è riuscita a comunicare con gli operatori grazie all’aiuto del piccolo Enrico, di La Morra, migliore amico della bambina.  Un aneddoto semplice e apparentemente “innocuo”, eppure simbolo di come la convivenza tra provenienze diverse possa realizzare nuove e impensabili solidarietà, aiuto reciproco, integrazione. Il lavoro quotidiano degli operatori – tutti al di sotto dei venticinque anni – è improntato alla crescita, allo sviluppo dei singoli e alla maturazione della relazione interindividuale».

Quali le attività quotidiane con cui “interagite” con i ragazzi?

«Molti i laboratori che proponiamo: ad esempio la costruzione di maracas, di maschere o suppellettili vari. Oltre a stimolare la creatività favoriamo l’incontro di parole, gesti ed emozioni».

Il mondo dei genitori, sovente “protagonista” della vita dei figli: com’è il dialogo con madri e padri?

«Il dialogo con i genitori si è sempre rivelato collaborativo e basato sull’ascolto reciproco. Sovente i ragazzi stranieri hanno difficoltà scolastiche, legate ad esempio alla comprensione o alla produzione della lingua parlata o scritta: il tema dei compiti, quindi, diventa una sorta di “veicolo”, punto cardinale da cui nasce la relazione con chi si prende cura dei piccoli».

m.v.

Mussotto, laboratorio di esistenze

Parliamo con Giuseppina. Se dovessi descrivere il Cam del Mussotto in dieci righe, quali parole sceglieresti?

«Il nostro è uno spazio accogliente per bambini e ragazzi delle elementari e delle medie (circa cinquanta), destinato  allo stesso tempo all’aiuto nei compiti scolastici, alla socializzazione e allo svolgimento di attività formative attraverso attività pratiche di laboratorio (sartoria, restauro, rilassamento, danza, sport). L’attività, pur essendo laica, si svolge nella Parrocchia di Mussotto e questo non è un caso: la Parrocchia stessa sente di rispondere alla chiamata evangelica ad occuparsi dei “piccoli” preoccupandosi, come diceva don Milani – cui il nostro centro è intitolato – di fornire ai ragazzi mezzi culturali e valoriali per affrontare il mondo. Come dicono i ragazzi: “Al Cam siamo liberi di esprimerci e parlare senza sentirci giudicati , ma aiutati a capire ciò che viviamo”».

Cosa vorreste cambiare del mondo in cui operate?

«Non rinunciamo alla speranza che chi ha il potere di farlo (istituzioni scolastiche, politiche, religiose) valorizzi e appoggi chi si batte per la solidarietà, per diffondere la cultura, per cercare di affrontare insieme i problemi dei singoli e delle famiglie, cercando di unire e condividere forze e risorse per il bene comune».

Parliamo dei ragazzi: quali gli ostacoli principali che devono affrontare?

 «Uno è la “poca speranza” nel futuro: i ragazzi hanno molti sogni che ormai sembrano irrealizzabili. Non vedono la possibilità di una collocazione futura nel contesto sociale e lavorativo. Non si sentono valorizzati come “persone” negli ambienti che frequentano perché sembra che contino solo l’efficienza, i risultati e i successi. Un altro problema è legato alla famiglia, istituzione che sembra in crisi e fatica a svolgere un ruolo educativo chiaro. Alcuni ragazzi sono alle prese col fantasma dell’esclusione per esempio dalle feste o dai compleanni dei compagni. Dal canto nostro, facciamo difficoltà a vederli soli e indifesi di fronte alla complessità del mondo che li circonda».

m.v.

Moretta, 85 bambini nella metafora del cerchio

Serena Savoiardo è operatrice del Cam Vides 2000.  Presenta la vostra attività.

«Si tratta di un servizio educativo gestito dall’associazione di volontariato Vides 2000 Onlus in collaborazione con il Consorzio socio-assistenziale Alba Langhe e Roero. L’associazione, costituitasi nel 1999, si ispira ai principi della solidarietà e al sistema preventivo di Don Bosco. Il nostro Centro permette ai ragazzi di usufruire di un sostegno alla didattica e allo studio, di sperimentarsi in prima persona e esprimere i propri sentimenti e emozioni all’interno di contesti di gruppo, attraverso percorsi formativi ed educativi che mirano alla formazione globale della persona. I ragazzi possono beneficiare di maggiori opportunità per affrontare i compiti di sviluppo in modo costruttivo e positivo».

Il vostro è il Cam più grande di Alba. Quanti bambini frequentano il servizio?

«Il gruppo è costituito da 85 bambini appartenenti al solo ciclo delle elementari. Un elevato numero di ragazzi (circa il 40 per cento) ha almeno un genitore di origine straniera: questa particolarità rende il gruppo culturalmente e linguisticamente vivace. L’attività, condotta  da quattro operatrici – con le quali collaborano dieci volontarie  e nove studentesse del liceo Leonardo da Vinci di Alba per uno stage – ha inizio alle 16.30 e termina alle 18.30, dal lunedì al venerdì».

Quali le attività che proponete ai bambini?

«Dopo un primo momento di gioco libero e riposo, al suono della campana tutti si radunano in cerchio in una parte del salone dedicata al lavoro di gruppo guidato, a carattere formativo e narrativo. Ogni inizio settimana la Direttrice della Casa salesiana incontra i ragazzi e legge una storia collegata ad un tema particolare (quest’anno è stato scelto il tema delle culture del mondo); nel corso della la settimana il gruppo si confronta e ognuno può esprimere vissuti e pensieri. Divisi poi nei vari gruppi classe, i ragazzi svolgono i compiti. Al mercoledì lo spazio si trasforma, consentendo lo svolgersi di gioco e laboratori. L’obiettivo è aiutare i ragazzi, anche quelli con maggiori difficoltà, ad esprimersi usando diversi linguaggi e tecniche: pittura, disegno, ballo, canto, musica, manualità».

Quale “immagine” vi descriverebbe meglio?

«Il cerchio è il simbolo del Cam Moretta. Qui si svolgono i momenti più importanti: si legge la storia e se ne discute; si affrontano temi dando a tutti la possibilità di crescere; si raccontano agli altri riflessioni e vissuti; si guardano i visi dei compagni di viaggio e ci si accorge della presenza dell’altro; si festeggiano tutti i mesi i compleanni e si fanno piccoli doni ai bimbi festeggiati. Nel cerchio si condivide sia la merenda legata alle feste, sia la sgridata per qualche pasticcio. Si gioca, si balla, si canta e si prova lo spettacolo di Natale. Ma nel cerchio si impara anche a stare con gli altri. I ragazzi, osservandosi, possono aiutarsi a correggere comportamenti scorretti e poco adatti al benessere di tutti».

Passiamo ai problemi, alle difficoltà quotidiane.

«Le sfide sono tante. Molti sono i ragazzi stranieri che usufruiscono del servizio, soprattutto per i compiti. Non tutti i genitori conoscono l’italiano tanto da poter correggere o aiutare i figli. Ma il problema che si riscontra di più è un aumento di quei comportamenti considerati poco adeguati a un contesto comunitario. I ragazzi sono spesso nervosi e poco disponibili a un confronto sereno, e possono rispondere in modo aggressivo a compagni o adulti. Atteggiamenti che corrispondono però a un’insicurezza e a un’incapacità di riconoscere e gestire le proprie emozioni. E’ su questi aspetti che è rivolto l’intervento educativo degli operatori».

m.v.

Moretta: ragazzi delle medie, tra recital e manualità, un laboratorio «vivente»

Il Cam non accoglie solo i bambini delle elementari. Un servizio è dedicato ai ragazzi delle scuole medie. Ne parliamo con Silvia Grasso.

Come si articolano le attività?

«Le attività educative iniziano alle  14 e terminano alle 17.30, dal lunedì al venerdì, eccetto il mercoledì poiché i ragazzi sono impegnati con il rientro scolastico. Dopo un primo momento di lavoro di gruppo guidato, a carattere formativo e di narrazione della propria mattinata a scuola, i ragazzi sono suddivisi in gruppi per i compiti. Sono seguiti da due operatrici, con la collaborazione degli stagisti e dei volontari».

Nel vostro “percorso” sono previsti anche laboratori e attività parallele.

«Durante l’anno di attività vengono svolti laboratori espressivi e percorsi specifici per fasce di età. Quest’anno l’attività teatrale ha permesso di creare un recital natalizio, al quale hanno partecipato anche i bambini delle elementari. Il recital è stato presentato, nel cinema Moretta, a tutto il quartiere. Il laboratorio di manualità ha consentito di decorare cornici di legno con tecniche diverse, da regalare alla famiglia. Sono poi in fase di svolgimento alcuni percorsi formativi, orientamento scolastico per i  ragazzi di terza, sostegno alle dinamiche  preadolescenziali per i ragazzi di seconda media, metodo di studio per i ragazzi di prima».

Sono previsti momenti formazione anche per chi si “prende cura” dei bambini?

«Le operatrici s’incontrano per valutare efficacia e efficienza degli interventi  e delle attività, per cercare nuovi miglioramenti al lavoro progettato. Il Consorzio garantisce un percorso di formazione continua».

Parliamo del domani. Come vedete il futuro dei Cam?

«Legato alla comprensione dell’importanza del servizio da parte degli enti. È importante coinvolgere in modo sempre più forte le famiglie, testimoni del benessere e della crescita dei ragazzi, e creare una rete di obiettivi e azioni tra tutte le istituzioni che si occupano dell’educazione dei futuri cittadini».

m.v.

Cortemilia, «CAMminiamo insieme»
Elisa è operatrice del Centro attività minori di Cortemilia. Partiamo dalla storia. Come ha origine il vostro servizio?

«Il Cam di Cortemilia nasce nel 2003 come progetto educativo sperimentale per i bambini delle scuole elementari. L’associazione che lo gestisce è la Don Verri Roberto, che da oltre vent’anni è veicolo interventi sui minori. Da allora gli obiettivi del progetto, nato in risposta a un bisogno concreto, sono saldi e invariati: il Cam offre ai bambini opportunità di socializzare e sostiene la loro educazione in modo strutturato. In questo spazio i bambini possono sperimentare e rafforzare i legami tra pari con adulti di riferimento. Le attività, dallo svolgimento dei compiti al gioco ai laboratori, sono un tramite attraverso il quale si veicolano messaggi di condivisione e rispetto. Siamo aperti due pomeriggi alla settimana, dalle 14 alle 19».

I Cam non si limitano soltanto alle attività del doposcuola. Un intento educativo più ampio anima lo spirito degli operatori. Succede anche da voi?
«Oltre allo svolgimento dei compiti proponiamo giochi e uscite e, in alcune occasioni, laboratori manuali. Ogni anno viene scelto un tema sul quale vengono basate attività di gruppo, che portano alla creazione di un calendario da regalare alle scuole e alle associazioni che ruotano intorno ai bambini. Per il futuro, disponibilità economica permettendo, ci piacerebbe organizzare gite senza pesare economicamente sulle famiglie».

Racchiudete in un’immagine il vostro operato.
«Nell’ambito della redazione calendario, che quest’anno ha come tema CAMminiamo insieme, abbiamo scattato una foto vista dall’alto in cui i bambini con i loro corpi uniti formavano la scritta Cam: è stato divertentissimo prepararla e importante il messaggio veicolato: insieme è il segreto!».

Qual è l’atteggiamento di chi lavora con decine di bambini?
«Gli operatori lavorano da sempre in equipe, unico modo per svolgere un intervento credibile e efficace. Questa modalità si riflette nell’impostazione che viene data al gruppo dei bambini, accompagnato nella condivisione, nel confronto e nell’incontro con la diversità, ricchezza irrinunciabile pur nelle difficoltà che comporta. Condividere il quotidiano con un gruppo nutrito e variegato di bambini rappresenta una sfida che ci spinge costantemente alla ricerca di nuovi modi per catturare la loro attenzione e avere il loro ascolto partecipato».
Matteo Viberti

Corneliano e Piobesi, tra web tv e la prima «non commedia»
Nel Cam di Corneliano e Piobesi accade ogni giorno qualcosa di «alternativo»: oltre ai compiti e ai doveri, gli operatori coltivano attività ludiche, ricreative, ma anche narrative e letterarie: «Ogni giorno si cerca di trovare il tempo per cimentarsi in diverse attività: studio, gioco, lettura. Con i bambini delle elementari abbiamo appena finito di leggere il Grande Gigante Gentile di Roald Dahl, e ora abbiamo cominciato Matilde dello stesso autore. Si fanno passeggiate, e chi più ne ha più ne metta».
Il tentativo degli operatori è coniugare le attività tradizionali con quelle attuali, legate alle nuove tecnologie e alla sperimentazione artistica: «I ragazzi delle medie hanno iniziato un progetto con la web radio del centro. Inoltre, hanno dato vita ad una compagnia teatrale che metterà presto in scena la sua prima “non-commedia”. Per i ragazzi delle elementari, nel futuro, c’è in programma tanto teatro e, come ogni anno, l’allestimento dell’orto didattico che ci fornisce le verdure durante l’estate». Cosa accadrebbe in un simile “laboratorio di vita” se ci fossero a disposizione maggiori risorse? «Potremmo procurarci più materiali per le attività, ma di certo sarebbe importantissimo avere almeno un collaboratore in più, visto che i ragazzi sono tanti e non sempre è semplice rispondere nel modo migliore alle esigenze di tutti». La filosofia resta la semplicità: «Ogni momento nasconde qualcosa di speciale da ricordare, dalla caduta di un dente alla litigata furiosa, alla domanda imbarazzante alla quale dobbiamo rispondere. Crediamo che questo sia lo spirito del gruppo: ogni avvenimento nasconde qualcosa specialità, qualcosa da cui imparare. Non c’è bisogno di eventi eclatanti per rendere significativa una giornata». m.v.

Il Centro di attività minori di Govone raccontato da Simone: «Imparare a vivere e condividere le emozioni»

Prosegue il viaggio di Gazzetta nel mondo dei Cam, i Centri di attività minori che accolgono studenti delle elementari, medie e superiori, fornendo non solo un servizio di “doposcuola”, ma anche un percorso educativo e socializzante, un sostegno identitario. Esploriamo il Cam di Govone attraverso il racconto di Simone, uno degli operatori.
Quale l’identità del Cam di Govone?
«Il campus di Govone è attivo nei pomeriggi di lunedì, mercoledì e venerdì, dalle 13 alle 18, coinvolgendo i bambini delle elementari e i ragazzi delle medie. Le attività si svolgono nei locali scolastici, utilizzando anche le strutture dell’adiacente centro sportivo. Dopo la mensa e la ricreazione iniziamo lo svolgimento dei compiti, attività principale del campus. La giornata prosegue con il momento della merenda e successivamente con la proposta di giochi e laboratori. Spesso organizziamo corsi aperti a tutti i bambini della scuola, cosa che consente un’apertura significativa al resto del territorio».

Passiamo alle difficoltà. Quali fantasmi quotidiani dovete fronteggiare?
«Non riscontriamo particolari difficoltà nell’affrontare il lavoro con i ragazzi: il nostro obiettivo è proporre servizi di elevata qualità, attenti alle esigenze dei bambini in un legame di dialogo e confronto con scuola e famiglie. All’interno della nostra équipe siamo ben affiatati, cosa che ci consente di confrontarci costantemente e imparare dagli sbagli, di migliorare sempre di più».

Quale immagine useresti per descrivere l’“anima” del vostro lavoro? «Gli ultimi dieci minuti del venerdì organizziamo una partita di calcio tutti insieme, operatori e ragazzi: un bel modo per scaricarsi dopo una settimana intensa di lavoro. Un momento di “sospensione”, dove possiamo apprezzare il semplice stare insieme senza preoccupazioni aggiuntive».

Il metodo del lavoro di gruppo è una costante nell’attività del vostro Cam: lo stare insieme può essere considerato un processo, per così dire, terapeutico?
«Lavorare in gruppo è un’opportunità fantastica per i bambini: si tratta di imparare a vivere e condividere le emozioni. In questo senso il ruolo degli operatori è fondamentale non solo nella correzione degli sbagli (scolastici o comportamentali), ma soprattutto nell’indicare le metodologie e le linee condivise con le famiglie e la scuola». m.v.

Monticello, Claudio e Arianna: «Il nostro spazio aperto»

Quali sono i principali “tratti somatici” del vostro Cam e soprattutto, quale obiettivo vi “guida”? «Il nostro “spazio aperto”, destinato ai ragazzi delle scuole medie di Monticello, è ormai da dieci anni al centro delle politiche giovanili del Comune. È uno spazio, fisico e relazionale, che si pone l’obiettivo di sostenere le fatiche dei ragazzi nei processi di crescita, valorizzando le loro sensibilità e competenze: uno spazio per sperimentare e sperimentarsi, per aprire nuovi “orizzonti di pensiero” e di condivisione con i coetanei. È un attivatore di percorsi educativi orientati al confronto e all’analisi, coinvolgendo i giovani e rendendoli protagonisti nella scelta dei temi e dei percorsi. È un momento dove lo spazio e il tempo sono organizzati per permettere un reale protagonismo dei ragazzi e per accompagnare il passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Proprio per questo non è uno spazio rigido, formale e istituzionale, ma aperto, libero».

È vero che molti Cam vengono percepiti soltanto come “doposcuola”, mentre il vostro ruolo educativo viene sovente marginalizzato?
«In questi anni di attività, la maggiore difficoltà che abbiamo riscontrato è stata quella di essere chiari sul ruolo dello “spazio aperto”. Non siamo solo equipaggiati ad affrontare il processo di “recupero scolastico”. Parte del pomeriggio è dedicato ai compiti, ma il servizio educativo erogato, nel suo complesso, va ben oltre».

Quali le debolezze maggiori dei ragazzi? «Nei ragazzi esiste sovente una forte insicurezza di fondo, una difficile propensione al “mettersi in gioco” a causa di una grande paura del giudizio altrui. Il nostro approccio porta i ragazzi a esprimere liberamente le differenti esigenze, dall’essere ascoltati al semplice giocare insieme». m.v.

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