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Per 38 su cento Né LIBRI né LAVORO

Non è (solo) questione di LA STORIA2 dati. A inizio maggio, le statistiche sulla situazione lavorativa del Paese parlano di un destrutturarsi dei canoni con cui giovani e famiglie percepivano il mondo. Secondo il rapporto dell’Istituto nazionale di statistica diffuso il 6 maggio, il mercato del lavoro nel 2013 «continuerà a manifestare segnali di debolezza, con un rilevante incremento del tasso di disoccupazione, che si attesta all’11,9 per cento (+1,2 punti percentuali rispetto al 2012). A marzo 2013 siamo all’11,5 per cento. Nel 2014 il parametro continuerà a crescere fino a raggiungere il 12,3 per cento».

Di rimando, la spesa delle famiglie è prevista in contrazione dell’1,6 per cento nel 2013. Il reddito disponibile diminuisce, costringe alla parsimonia e alla cautela. Non solo a causa di un presente “pericoloso”, ma anche in previsione di un futuro disastroso. Istat prosegue l’analisi rilevando come, per quanto riguarda la cassa integrazione, ad aprile le ore autorizzate siano state 100 milioni, con un aumento del 3,1 per cento rispetto a marzo (97 milioni) e del 16,05 per cento rispetto a aprile dell’anno scorso (86,1 milioni). Altri numeri provengono dall’Istituto di previdenza sociale, che comunica come sul fronte delle domande di disoccupazione si siano registrati spaventosi aumenti: a marzo le richieste hanno superato la soglia delle 108 mila unità, lo 0,95 per cento in più rispetto allo stesso mese del 2012, in cui si erano registrate circa 107 mila domande.

I nuovo giovani si chiamano “neet”. I dati nazionali sono confermati dalle statistiche internazionali dell’Ilo, l’ente Onu responsabile del lavoro. In Italia i giovani “neet” – acronimo inglese che definisce coloro che appunto non lavorano né studiano – sono saliti al 23 per cento nel 2010, ultimo anno disponibile per il confronto tra Paesi. Nel mondo i disoccupati sarebbero circa 73 milioni, in Italia il popolo degli inerti toccherebbe cifre vicine al 38 per cento negli ultimi mesi. La matematica della crisi, all’apparenza drammatica, racchiude in verità sottili insegnamenti. L’apparente “inefficienza” dei giovani prende pieghe diverse (vedi le storie a lato), scorre per canali non registrati dai dati ufficiali.

Matteo Viberti

LE STORIE

Ariadna: «Il Paese è da sempre un centro propulsore di cultura, che è stata accantonata»

La storia di Ariadna Von Eckarstberg, 22 anni, paraguaiana di origine e albese di residenza, racchiude paure, desideri e sogni delle “generazioni perdute”, custodi di talento ma costrette a escogitare strategie multiformi per fronteggiare la crisi.

Ariadna frequenta l’Accademia delle belle arti di Cuneo. Nella vita, studia e disegna. Non dipinti casuali, ma riproduzioni di una realtà fiabesca (è sua l’immagine qui sopra). Racchiuso tra i movimenti della sua matita abita un inesauribile desiderio di cambiamento. Spiega Ariadna: «Uso tecniche come pastelli e acquerelli, oppure la china. Ogni metodo mi restituisce emozioni diverse, più malinconiche o allegre, tristi o divertite». Il suo disegnare è un percorso autoespressivo, nato da un desiderio atavico e profondo.

«È un periodo molto difficile, un’impasse che colpisce non solo i singoli ma anche i diversi settori, tra cui l’arte. Il Paese è sempre stato un importante centro gravitazionale di cultura, rattrista vedere come la creatività sia stata “accantonata”. Nonostante alcuni pensino che l’arte non sia strettamente necessaria, per me rappresenta il metodo per esternare emozioni, un modo per scansare i problemi di tutti i giorni ». La giovane racconta poi un mondo che costringe le ambizioni a competere con la realtà, che incita alla battaglia invece che al processo ideativo, allo studio. «Oggi non lavoro, studio all’Università. Vorrei distinguermi nel campo delle illustrazioni, emergere, guadagnare grazie ai miei disegni. Eppure sono consapevole che, a causa del contesto socioeconomico, il mio sogno è difficilmente realizzabile. All’estero sarebbe più facile. Mi laureerò in autunno, poi si vedrà. Non escludo di preparare la valigia».

Conclude Ariadna: «Bisognerebbe valorizzare chi si affaccia al mondo del lavoro. Mi auguro che in futuro ogni persona possa essere riconosciuta e apprezzata in base alle capacità e al talento».

m.v.

Aldo si lascia trasportare

Parliamo con un neet, ovvero un “not in education, employement or training”. È un acronimo inglese che definisce le persone che non lavorano, non studiano, non seguono alcun percorso di formazione.

Aldo ha 24 anni, abita ad Alba e preferisce rimanere anonimo. Anonimo, proprio come percepisce se stesso nel marasma sociale, «nella perenne corsa all’oro, alla popolarità, alla notorietà, al guadagno. La mia è una scelta consapevole: in un periodo dove tutti inseguono il mito del lavoro, e dove se non fai nulla sembra anche che tu “sia” nulla, ho scelto di prendermi un periodo di pausa.

Uno o due anni “sabbatici”, se così si può dire. Vivo con i miei genitori, ma a parte il cibo e le spese sanitarie non chiedo loro alcun finanziamento. Per mantenermi ho trovato un metodo divertente: organizzare feste. A casa di un amico, in un locale. Uso i social network, mi occupo di contattare gli artisti, sponsorizzare l’evento. Non guadagno molto, ma quanto basta per sopravvivere». La sua scelta, in apparente controtendenza e libera dall’ansia di essere “riconosciuti” dal sistema istituzionale, spicca per diversità e originalità.

«So che il mio atteggiamento è discutibile, può essere scambiato per codardia, ma sono sicuro che in futuro raccoglierò i frutti. Comportandomi in modo diverso dagli altri, mi accorgo che la mia creatività si mobilita, risulta in rapido sviluppo. Ho cominciato a dipingere, a scrivere racconti. Non amavo la pittura e la scrittura, oggi non potrei farne a meno». La disoccupazione non preoccupa Aldo. Secondo lui, «stiamo assistendo a un grande cambiamento. Tutti sono spaventati dai cambiamenti, poi si accorgono che sono una cosa necessaria ». Aldo è consapevole di vivere di espedienti. Ma, dice, «è un passo necessario per inventare nuove strade. Le istituzioni sono cieche verso gli istinti nascenti, le anime rivoluzionarie. Bisogna avere coraggio e, qualche volta, trasgredire ». Da qualche tempo a questa parte, ci confida il ragazzo, «penso all’università e all’importanza del percorso di studi. Non mi sento vecchio, so di persone che si immatricolano a 50 anni. La vita in fondo non è prevedibile, è un grande caos. Ho deciso di lasciarmi trasportare, di vedere come vanno le cose senza preoccupami troppo». m.v.

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