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L’ex sala Fenoglio di Alba ora è intitolata a Vittorio Riolfo

ALBA L’Amministrazione comunale ha deciso di intitolare la vecchia, gloriosa sala Beppe Fenoglio, nel cortile della Maddalena, a Vittorio Riolfo (1925-1989), persona di estrema importanza nella vita culturale e sociale albese, per cui pare difficile individuare una definizione stringata e “globale”, come la toponomastica spesso richiede. Non sembri una semplice “sovratitolazione”, una specie di nobile toppa, tanto per disambiguare una voce nello stradario. C’era ormai da qualche tempo e nello stesso complesso della Maddalena, un secondo spazio dedicato a Beppe Fenoglio (l’auditorium ricavato nella storica palestra). Ma la scelta di ricordare Riolfo in quel luogo, e dopo il nome dello scrittore, ha quasi il senso di un naturale passaggio di mano e, come tale, di una intitolazione ex novo. Ancor più, si può dire che comprenda una doverosa sfumatura risarcitoria.

Vittorio Riolfo
Vittorio Riolfo.

Vittorio Riolfo è stato definito, non a torto, la «coscienza critica del Novecento albese», poiché della sua città si è interessato con passione e rigore insieme, spendendosi in prima persona e scrivendo ininterrottamente, per oltre quarant’anni dal 1946, sulle testate più diverse (tra queste Gazzetta) che spesso aveva contribuito a fondare o a modellare. Si può dire che avesse a cuore la “salute” di Alba: una salute che, fin da subito, ha collegato al benessere culturale, oltre che a quello economico; degli spiriti, anziché delle saccocce.

Dunque alla produzione e alla tutela di una cultura libera, accessibile, non svuotata dalle logiche commerciali si era rivolto, definendo un ruolo – quello del cronista culturale – che prima di lui in loco non esisteva, perché vi era un’altra idea (più lontana, aulica, elitaria) di ciò che era cultura e di chi, dove e come ne dovesse parlare. Riolfo ha sempre parlato con l’entusiasmo della scoperta e della condivisione, da giovane, e con qualche nota di amarezza (mai di cinismo) da più vecchio (anziano, purtroppo, non lo diventò), senza perdere uno stile ironico, capace di grandi invenzioni umoristiche, e la serietà documentaria.

Cronista e corsivista, sotto svariati pseudonimi (Vir, Masferrer, Toio, erre…), parodista e scrittore satirico d’occasione, ricercatore di storia locale (e di storie umane, popolari, non ufficiali), Riolfo fu tra i fondatori della Famija albèisa, nel 1955, così come della cooperativa libraria La torre, nel 1976 (gli anni sono importanti, per contestualizzare il peso e la qualità delle iniziative). Sotto le insegne della Famija albèisa, contribuì alla pubblicazione di testi diventati un riferimento: si pensi, tra i tanti, ad Alba un secolo (1985, in collaborazione con Antonio Buccolo ed Enrico Necade), al volume del centenario della Scuola enologica (1981), senza dimenticare la guida storico-gastronomica (Langhe d’Alba, 1963), intesa per un pubblico di turisti “moderni” ma senza facilonerie o trascuratezze. L’ultimo libro è postumo: si tratta di Pane al pane (Barisone, 1990), la raccolta dei corsivi di Riolfo sul settimanale Il Tanaro tra il 1985 e il 1989, anno della morte.

Vent’anni dopo, nel 2009, La torre l’aveva ricordato con un convegno molto partecipato; oggi arriva l’intitolazione della sala. Che pare naturale, anche perché la vecchia sala Fenoglio era il risultato di ristrutturazioni della seconda sede del Circolo sociale, mitico (e facilmente smitizzabile) luogo della cultura laica cittadina. Un’allegra sala giochi d’élite, dove la cultura entrava senza programma, per l’iniziativa di singole personalità. Al Circolo, nell’inverno 1951, si tennero le (oggi) famose letture delle traduzioni di Beppe Fenoglio dai poeti Hopkins, Donne, Eliot, per opera di Felice Campanello e Gianni Toppino. Tra i pochi uditori, il ventiseienne Riolfo, che ne scrisse sul Corriere albese una testimonianza doppiamente rivelatrice: perché rivelava ai suoi concittadini (soprattutto a quelli che giudicavano con sufficienza) il talento di Fenoglio, e il “metodo” di Vittorio: «Vi confesso che poche volte nella mia breve esistenza fui così preso dal fascino del “bello”. Fu uno stupore generale tra quei pochi fortunati presenti alla serata. Tanta era stata la raffinata sensibilità del traduttore, limpido e preciso, fedele nel far rivivere la freschezza dell’originale ispirazione. Sono miracoli che soltanto dall’amore d’un animo sensibile per un altro a lui simile possono nascere».

Un altro passaggio dall’articolo recita: «Sono casi che forse soltanto “la provincia” ha ancora, nella sua freschezza, la possibilità di generare, in un ambiente ove, mancando i cenacoli e le “scuole” letterarie, le intelligenze più vive si affinano nel gusto delle cose più belle unicamente sorrette dall’amore per la ricerca e da un meraviglioso equilibrio del gusto artistico». Sebbene lui pensasse al “caso Fenoglio” quando scrisse queste parole, noi possiamo bene immaginarle adatte anche a descrivere il “caso Vittorio Riolfo”.

Edoardo Borra

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