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L’Asti secco non imiti il Prosecco!

L’Asti secco è un’opportunità in più

VINO A giorni, la Gazzetta ufficiale dovrebbe pubblicare il decreto con le modifiche al disciplinare della denominazione “Asti”, consentendo così di produrre e commercializzare il cosiddetto Asti secco. Tutto dovrebbe concludersi in poche settimane, permettendo alle aziende interessate di cominciare a produrre la nuova tipologia di Asti già nel mese di agosto. Si tratta di un’occasione strategica e non soltanto perché potrebbe aiutare la filiera dell’Asti a ridurre le giacenze di sfuso che creano pesantezza al settore. Ma soprattutto perché potrebbe portare un contributo di vivacità a un comparto ultimamente un po’ statico.

Puntare in alto. Ma in questa nuova “scommessa” produttiva, il settore deve puntare in alto. Non tanto nei numeri, seppure anch’essi abbiano la loro importanza, ma piuttosto nella qualità e nel prestigio di una tipologia di prodotto che potrebbe segnare una svolta nel mondo dell’Asti. Per questo, molti osservatori si sono meravigliati in questi mesi per i frequenti parallelismi tra il futuro Asti secco e il mondo del Prosecco. Non ce n’era bisogno e, strategicamente, potrebbe essere stato un errore, anche perché ha finito per solleticare una certa avversione per il nuovo progetto dell’Asti da parte della frazione meno qualificata del vino veneto, ovvero non quella legata alla Docg Conegliano Valdobbiadene, bensì quella riferita ai vini di seconda fascia, la denominazione Prosecco tout court.

Anche per questo non si è capito perché, nel recente convegno sui temi del Moscato organizzato a Neviglie (Gazzetta ne ha parlato l’11 luglio, ndr) si sia ancora tornati su questo dualismo. Fortuna ha voluto che i “signori del Prosecco” a Neviglie non si siano presentati e questo ha almeno evitato un confronto che non ha alcun fondamento concreto.

Una produzione irripetibile. Ricordo ciò che amava ripetere Renato Ratti sull’Asti spumante. Lo definiva “unico e irripetibile”. Ratti è mancato quasi trent’anni fa. Possibile che in tutto questo tempo non ci si sia convinti che l’Asti è un prodotto che non ha paragoni in nessuna parte del mondo? Con il Prosecco, l’Asti secco non ha nessun collegamento se non quello del metodo produttivo. La terra è differente, il vitigno, il Moscato, è davvero aromatico. Le caratteristiche ambientali hanno una loro precisa identità.

Perché, quindi, intestardirsi in un parallelismo che pone dei limiti di prestigio e di qualificazione fin dall’inizio? D’altronde, non crediamo che, con l’arrivo dell’Asti secco, i produttori piemontesi imbottigliatori di Prosecco decideranno di smettere di commercializzare il vino veneto. Perché dovrebbero rinunciare a un mercato consolidato? Per questo è essenziale comunicare l’Asti secco come un prodotto a sé stante, differente da ogni altro per caratteri organolettici, ma anche per identità, concezione, originalità e prestigio.

L’Asti secco, quindi, merita un posizionamento tutto suo. Su quale possa essere, la risposta spetta al settore. Ciò che è sicuro è che dovrà staccarsi dal Prosecco per evitare fenomeni di cannibalismo che non sarebbero utili. E che l’Asti secco non meriterebbe.

Giancarlo Montaldo

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