Sul Vermouth di Torino un compromesso all’italiana

Sul Vermouth di Torino un compromesso all'italiana

VINO È di questi mesi la notizia che la Pio Cesare, storica azienda legata al Barolo e al Barbaresco, ha riproposto due prodotti che hanno fatto la storia del vino in Piemonte, il Barolo chinato e il Vermouth di Torino. I due vini sono stati presentati in pompa magna, recuperando le antiche ricette conservate a dispetto del tempo, compresi i vini base di chiara origine piemontese.

Più o meno nello stesso periodo, le aziende produttrici del Vermouth di Torino hanno celebrato un altro avvenimento: la regolamentazione di tale prodotto, attesa molti anni (il riconoscimento della Indicazione geografica Vermouth di Torino risale al 1991) e giunta grazie a un decreto ministeriale del 22 marzo 2017. Il confronto per definire tale regolamentazione, in effetti, non è iniziato nei primi anni Novanta quando la Cee ne aveva sancito l’indicazione geografica. Per molto tempo nessuno si è mosso, lasciando che tale indicazione venisse usata con le regole del Vermouth generico. Nel 2014, l’Unione europea ha aggiornato le norme sui vini aromatizzati con il regolamento che confermava l’Indicazione geografica Vermouth di Torino, ma fissava un periodo di tempo per definire le regole per tale produzione, pena la decadenza dell’indicazione stessa.

Compromesso all’italiana. Temendone la cancellazione, il settore produttivo ha deciso di cercare regole condivise. Il risultato è un disciplinare “debole”, che non sempre risponde ai concetti di origine e qualità come meriterebbe una indicazione geografica. Invece di confrontarsi sulla qualità e l’origine dei vini base, il dibattito si è incentrato sul grado alcolico del prodotto finito. Alla fine, è prevalso il “16 gradi”, sbandierato come parametro di qualità del Vermouth di Torino e l’origine dei vini è passata in secondo piano. Anzi, i più volevano lavorare con vini di tutto il mondo e solo l’intervento di alcuni (la Toso di Cossano Belbo e l’Assessorato regionale all’agricoltura) ha limitato la scelta dei vini base a quelli italiani. L’obbligo di vino piemontese c’è solo per la tipologia superiore ed è del 50% del prodotto base (circa il 35% di quello finito). Con tutto il Moscato e Cortese che abbiamo di esubero in Piemonte!

Poche le voci fuori dal coro. Tra i politici solo Mino Taricco ha segnalato il suo dissenso con un’interrogazione parlamentare. A chi protestava per questa scelta il settore ha risposto che la qualità del Vermouth di Torino sta nel know-how che appartiene alle case produttrici. Un’affermazione ben presto smentita da un’altra lacuna del decreto: l’assenza di qualsiasi indicazione su dove produrre gli estratti aromatizzanti. È vero che le artemisie per aromatizzare il Vermouth di Torino devono essere coltivate e/o raccolte in Piemonte, ma il disciplinare non prevede l’obbligo di produrre tali estratti in Piemonte e men che meno presso le case di produzione. Ci viene un dubbio: quanti saranno i produttori di Vermouth di Torino che producono in casa propria gli estratti aromatizzanti?

Giancarlo Montaldo

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