Se qualcuno vuol essere primo si metta a servire

PENSIERO PER DOMENICA – XXV TEMPO ORDINARIO – 23 SETTEMBRE

La Bibbia è specchio e guida della vita. Dalle letture della XXV domenica ricaviamo, ad esempio, che la vita di una comunità può essere impostata secondo tre modelli: la competizione sociale, ben descritta da Giacomo (3,16-4,3), la giustizia, raccomandata nel libro della Sapienza (2,12-20), il servizio a cominciare dai più deboli, insegnato da Gesù (Mc 9,29-36).

Quanto sia faticosa la promozione della giustizia è un’esperienza che attraversa la storia e arriva fino ai nostri giorni. Il giusto deve guardarsi innanzitutto dai nemici interni, «dalle passioni che fanno guerra nelle nostre membra», come il desiderio di possedere, la ricerca del piacere e l’invidia, fino alla guerra. Poi subentrano i nemici esterni, che tendono insidie al giusto perché è un personaggio scomodo, come leggiamo nel libro della Sapienza. La giustizia però è la base della vita personale e civile: tutti sappiamo molto bene che senza fondamenta nessuna casa è sicura.

Se qualcuno vuol essere primo si metta a servire
Gesù con i fanciulli, miniatura tratta da una Vita di Cristo del XVI sec. (Lione, biblioteca comunale).

Gesù chiede di andare oltre. Sa bene che non è facile, che il suo stile di vita è controcorrente. Glielo ricordano, in un certo senso, i discepoli che subito dopo l’annuncio della passione continuano a ragionare secondo categorie terrene, discutendo tra loro chi fosse il più grande, il più importante del gruppo. È fin troppo facile immaginare le conseguenze di una tale discussione: proprio quelle gelosie e invidie di cui parla Giacomo. Esse sono la premessa di ogni guerra, anche delle guerre nascoste, ma non meno violente che si combattono dentro le mura di case, uffici, ambienti di lavoro, istituzioni, perfino parrocchie e conventi!

Gesù rovescia la prospettiva. Prima ribadisce che nella comunità che lui ha in mente i rapporti tra le persone devono essere rovesciati: «Se uno vuol essere il primo sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». Poi chiama a sé un bambino, uno di quei bambini che corrono nelle piazze e nelle stradine dei villaggi palestinesi, lo abbraccia con tenerezza, lo pone al centro del gruppo e lo addita come modello ai discepoli. È un gesto provocatorio, soprattutto per la cultura dell’epoca che considerava il bambino un essere immaturo e irragionevole, oggetto di educazione da parte degli adulti, non certo soggetto, portatore di un messaggio prezioso. I bambini, secondo Gesù, possono invece essere modello, perché hanno una naturale fiducia nella vita, negli adulti, nel futuro, in Dio. Si meravigliano di tutto: per questo sono vicini alle meraviglie di Dio. Chi li accoglie, accoglie Gesù, quindi Dio, dentro la sua vita.

Lidia e Battista Galvagno

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