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Giuseppe Lora, un fornaio d’altri tempi

Giuseppe Lora, un fornaio d’altri tempi

SANTO STEFANO ROERO Giuseppe Lora è nato in frazione Balla Lora il 12 novembre del 1927 ed è nella sua borgata che lo abbiamo ritrovato, 91 anni dopo, a fare il pane con l’aiuto dei figli Giovanni e Luigi. Giuseppe non è il più vecchio del paese, ma è difficile immaginare un ultranovantenne più attivo e simpatico di lui. Primo di sei figli, aveva un fratello e quattro sorelle, di cui tre suore. È vedovo dal 2003. Quando il tempo è bello lavora nei campi e tra i filari. Quando ci ha accolti in casa sua ha preparato il pane che impasta e cuoce nel forno a legna scavato sul fianco della collina. La campagna, gli odori e i colori ci riportano al passato, come i semplici gesti che compie. Per controllare la temperatura di cottura, invece di usare un termometro, osserva il colore di un filo di paglia che lascia per un minuto nella bocca del forno ripulita dalla cenere e dal legno.

Giuseppe Lora, un fornaio d’altri tempi 1

«Il mio lavoro e la mia vita sono la terra e le bestie. Vivo da sempre in questa frazione, circondata da campi e vigne, e il lavoro non manca mai. Raccogliamo la frutta, avevamo tanti alberi di pesche, vendemmiamo e sorvegliamo gli animali. D’estate facciamo i lavori all’aperto; d’inverno mi ritiro in casa e a lavorare nella stalla. Fino a un paio d’anni fa andavo ancora a vendere i nostri prodotti al mercato».

Cosa ricorda dei suoi anni passati?

«Non ho tanta memoria, ma ricordo ancora i tempi della guerra. Una volta ero a Canale, quando fui messo al muro, se non ricordo male dai Repubblichini, ma ero molto giovane e mi lasciarono andare. E non dimentico come, a causa dei razionamenti, dovessimo scendere giù a valle, con vacca e carretto, per comprare la farina e poi fare il pane sempre di notte. Ricordo anche il servizio militare, a guerra finita, fatto a Bologna».

Cosa rimpiange del passato e cosa le piace di oggi?

«Di una volta mi manca la solidarietà e la voglia di stare insieme. D’inverno ci riunivamo nelle stalle in tanti: si parlava, si mangiava e si giocava a carte. Ricordo Andrea Sibona, il cantastorie del paese, che ha allietato tantissime serate. Insieme si lavorava anche. Ognuno di noi vendemmiava a casa sua e aiutava gli altri. Oggi non è più così e non solo per colpa delle regole. Vedo la gente molto più sola, triste, gelosa ed egoista. Di oggi mi godo il fatto di stare ancora bene e l’impastatrice. Si, l’impastatrice: così non devo più fare il pane tutto a mano e faccio molta meno fatica».

Non abbandona mai la sua borgata?

«Si, tutte le settimane vado a Messa. E poi accompagno i figli a vendere il vino a Cuneo o a Torino. Però quando torno mi ritrovo sempre a dire “Ah… come si sta bene qui a casa”».

Sa che racconteremo la sua storia ai lettori di Gazzetta d’Alba?

«Davvero? Ommi: per me è un onore. Meno male che mi è venuto bene il pane. Raccontalo: così faccio bella figura».

Andrea Audisio

 

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