Il vignaiolo che attende frutti da duemila anni

PENSIERO PER DOMENICA – TERZA DI QUARESIMA – 24 MARZO

Al centro della terza domenica di Quaresima c’è Mosè, in uno dei momenti chiave della sua vita: l’incontro con Dio sul monte Oreb e la chiamata a tornare in Egitto, per mettersi alla guida del popolo schiavo e portarlo alla salvezza nella terra promessa (Es 3,1-15). Quando Dio entra nella storia degli uomini, li aiuta a leggere in chiave diversa la loro vita, come insegna anche Gesù nel Vangelo (Lc 13,1-9).

Dio destabilizza il quieto vivere di Mosè. Dall’insieme del racconto biblico, noi sappiamo che Mosè non pensava più di tornare in Egitto, dopo la sua improvvisa fuga da quel Paese dove era ricercato per omicidio, convinto che Dio avesse abbandonato per sempre il suo popolo. Nella nuova terra, dove egli abitava, si era rifatto una vita: aveva preso in moglie la figlia del sacerdote di Madian, messo al mondo figli; greggi e armenti gli garantivano anche la sicurezza economica. Con la voce misteriosa che arriva dal roveto ardente, Dio ricorda a Mosè che lui continua ad avere a cuore le sorti del suo popolo, ma per intervenire concretamente ha bisogno dell’aiuto dello stesso Mosè. Alcuni maestri di spiritualità insegnano che quando chiediamo a Dio perché non fa niente per risolvere determinati problemi, lui potrebbe benissimo risponderci: «Come, non faccio niente: ho fatto te!».

Il vignaiolo che attende frutti da duemila anni
Mosè al roveto ardente e con il serpente, da Bibbia napoletana (1340), Biblioteca nazionale austriaca.

Dio si rivela come colui che è presente. È questo il significato forse da preferirsi del nome misterioso che Dio rivela a Mosè: «Io sono colui che sono!». In fondo, Mosè voleva da Dio il nome da usare come “pronto soccorso” in caso di difficoltà: una sorta di “118” da digitare in condizioni di pericolo. La risposta di Dio è la risposta più rassicurante. Infatti, «Io sono colui che sono» può essere letta come: «Io ci sono, io sarò continuamente accanto a te, senza che tu debba chiamarmi!». Questo smuove ogni residua resistenza di Mosè. E questo è, ancora oggi, il Dio biblico, allorché chiama per una missione.

Dio aspetta i frutti. È il duplice messaggio del Vangelo attraverso un sottile gioco di interpretazioni: prima la lettura di due fatti di cronaca, come invito alla conversione, poi la parabola del fico improduttivo da tre anni che allude chiaramente all’incredulità di tanta gente di fronte a Gesù. Dio, come il vignaiolo, si mostra paziente: noi sappiamo che ha atteso frutti ben oltre i tre anni della vicenda terrena di Gesù. Li ha attesi per duemila anni. Li attende ancora oggi, da noi. Anche da noi.

Lidia e Battista Galvagno

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