Il 26 maggio l’Unione europea a un bivio?

Arrivare vivi alle elezioni europee

L’editoriale di Franco Chittolina, sociologo che ha lavorato 25 anni per le istituzioni europee

Si sente spesso dire, in questi tempi di concitazione e di parole approssimative, che con le elezioni del 26 maggio l’Unione europea è a un bivio. L’espressione può servire da titolo di richiamo e come tale è spesso usato, ma può anche indurre in errore sulla reale posta in gioco delle imminenti elezioni.

“Essere a un bivio” indica una strada che biforca, proseguendo in avanti, in due o più direzioni diverse. Oggi l’Unione europea, prima di affrontare il bivio, è destinata a scegliere qualcosa di più fondamentale: deve scegliere il suo futuro senso di marcia, se andare avanti o tornare indietro, il bivio verrà dopo.

Dopo settant’anni di faticoso cammino, lasciatosi alle spalle le tragiche guerre della prima metà del ‘900, il processo di integrazione europea rischia di precipitare verso la “disintegrazione” di un’Unione avviata ad unificare un continente da sempre diviso tra “patrie nazionali”, in competizione spesso tra loro ostili, con rischi di conflitti che ci riporterebbero indietro ai tempi bui dei nazionalismi fatali per la pace in Europa.

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo
Franco Chittolina, sociologo, ha lavorato per 25 anni nelle istituzioni europee

Questa pace che nell’Unione europea – anche se non in tutta la più vasta Europa – registra un lungo periodo di assenza di conflitti armati a cui sarebbe più prudente dare il nome di “tregua”, una pace provvisoria, non conquistata per sempre, come ci insegna la secolare storia violenta di questo nostro continente.

A questa lunga e felice tregua qualcuno, consapevole o meno che sia, sembra non aver problema a mettere fine, illudendosi magari di poter fermare una deriva verso conflitti difficili da governare, sicuramente nocivi non solo per l’Ue, ma anche per gli stessi stati presunti sovrani, i primi che ne subiranno le conseguenze, come Brexit insegna.

Torna alla mente quel “mito funesto della sovranità assoluta”, denunciato da Luigi Einaudi nel suo discorso all’Assemblea costituente del 1947, mito all’origine delle due guerre mondiali in Europa. Oggi quel mito lo sentiamo tradurre in espressioni di sapore demagogico, come quelle di “padroni in casa nostra” o “prima gli italiani”, eco grottesca di quell’ “America first” che viene da oltre Atlantico. O lo abbiamo visto già all’opera nelle tensioni tra il governo italiano e le Istituzioni europee, ripreso con un linguaggio di sapore antico del “me ne frego dei vincoli europei”, quelli che l’Ue sta cercando di far valere anche a protezione dell’Italia, oltre che della moneta unica che condividiamo.

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Le parole, si sa, sono pietre: per qualcuno servono a distruggere, per altri a costruire. In settant’anni, pietra dopo pietra, l’edificio europeo è cresciuto, viviamo in un condominio qualche volta litigioso ma nella sostanza pacifico e dobbiamo averne cura. A questo edificio, complesso ed esposto all’usura del tempo, abbiamo destinato negli anni una “manutenzione ordinaria”, ma adesso dobbiamo andare avanti con il coraggio di affrontarne una “manutenzione straordinaria”: quella in grado di sviluppare nuove politiche comuni in materia di sicurezza, ambiente, lavoro, migrazioni, fiscalità ed altre ancora. È venuto il momento di ripensare un progetto che fu straordinario settant’anni fa e che per restare straordinario deve essere riconsiderato alla luce dei radicali cambiamenti intervenuti in questi ultimi anni, a partire dalla svolta del 1989, con l’abbattimento del muro di Berlino, al grande allargamento dell’Ue a inizio secolo fino all’esperienza non sempre felice della gestione della crisi economica che abbiamo vissuto. Dobbiamo imparare dagli errori fatti senza dimenticare il grande potenziale umano, culturale, economico e commerciale di cui disponiamo. È a questo punto che, dopo aver scelto con chiarezza il senso di marcia verso il rafforzamento dell’Unione, si apre il bivio delle possibili europe – magari al plurale – da costruire o ricostruire per non tornare indietro come vorrebbero i nostalgici dei nazionalismi.

Il futuro dell’Unione europea, come tutte le imprese umane, offre opzioni diverse: quelle che saranno rappresentate nella probabile futura maggioranza del Parlamento europeo, “diversamente favorevole” a un rilancio del processo di integrazione. Bisognerà lavorarci subito, fin dal mattino del 27 maggio, fedeli al motto dell’Unione europea: “Uniti nella diversità”.

Franco Chittolina

 

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