Brexit: una storia che non finisce di finire

Forse il 31 gennaio il Big Ben di Londra tornerà a suonare per festeggiare l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Alle campane britanniche non faranno certamente eco, al di qua della Manica, le trombe europee. Per almeno due buone ragioni: che non c’è nulla da festeggiare per nessuno e perché l’uscita reale non sarà a fine mese, ma se va bene – ma nessuno ci giura – sarà a fine anno. Con il 31 gennaio finisce la ricreazione e adesso vengono le cose serie.

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo 1

Con l’ultimo voto a gennaio di Westminster e la firma della Regina il Regno Unito ha sottoscritto la sua “secessione” dall’Ue, dopo oltre 45 anni di oscillante permanenza nell’Unione, vissuta fin dall’inizio con un piede dentro e uno fuori, mirando adesso a stare fuori dall’Ue, possibilmente con un piede dentro.

Un tentativo che accompagnerà il difficile negoziato che inizierà a febbraio e che, secondo Boris Johnson, dovrebbe concludersi il prossimo 31 gennaio. E già sulle date si registrano forti dissensi, con Bruxelles scettico sulla possibilità di venire a capo entro quella data delle complicate trattative in programma, quelle che dovrebbero definire i futuri rapporti di partenariato tra le due sponde della Manica. Trattative che potrebbero anche non trovare un esito positivo, esponendo tutta la vicenda a un’uscita del Regno Unito senza accordo, minaccia velatamente brandita da Johnson.

Mentre in questo 2020 nulla di sostanziale cambierà nei rapporti tra i due contendenti, gli scenari evocati a partire dall’anno prossimo potrebbero essere, tra quelli già sperimentati dall’Ue, l’opzione “canadese”, con un accordo di libero scambio parziale di beni e servizi o quella “norvegese”, con una piena partecipazione al mercato europeo, comprensivo di un allineamento alle regole europee e un contributo al bilancio. Un’opzione quest’ultima che Johnson non si può permettere, sapendo però che quanto più divergerà la futura regolamentazione britannica da quella dell’Ue, tanto più quest’ultima chiuderà l’accesso al suo mercato, per il Regno Unito molto importante, in particolare per i servizi ai quali già guarda con particolare interesse la Francia.

Al tavolo del negoziato peserà, assente, anche un convitato di pietra, almeno fino alla fine dell’anno: quel Donald Trump, che a Johnson ha promesso mare e monti, facendogli balenare un ritorno al vecchio “partenariato speciale” transatlantico, poco credibile se a prometterlo è l’alfiere di “prima l’America”.

Sullo sfondo del negoziato non mancherà la preoccupazione di una politica della sicurezza condivisa tra i due contendenti, senza escludere intese militari già attive e che nessuna delle due parti ha interesse a mettere in crisi, tenuto conto delle turbolenze che agitano il mondo e dei rischi per la pace ai confini immediati dell’Europa.

C’erano una volta la Svezia e il Parlamento europeo
Franco Chittolina, sociologo, ha lavorato per 25 anni nelle istituzioni europee

A complicare ulteriormente in quadro di riferimento per il negoziato saranno anche le vicende interne al Regno Unito: dall’irrisolta questione Nord-irlandese, provvisoriamente sospesa ad un fragile artificio di frontiera tra le due isole, alla domanda di indipendenza rilanciata dalla Scozia, tentata di seguire l’esempio della Catalogna, affidandosi a un referendum a rischio di illegalità, con un impatto pesante non solo sull’integrità del Regno Unito, ma anche sull’atteggiamento problematico dell’Unione europea.

Così si annuncia il futuro della vicenda Brexit: una storia che non finisce di finire e che lascerà tracce profonde nel futuro dell’Europa.

Franco Chittolina

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