IL RICORDO Era il tardo pomeriggio del 27 giugno, nel 1979, quando arrivarono, quarantun anni fa. Il quinto Governo di Giulio Andreotti decise di inviare tre navi al largo del Vietnam per salvare vite in pericolo. Ricordava il Sole 24 ore in occasione del quarantesimo anniversario della tragedia: «Le Tv in quei giorni mandavano le immagini di migliaia di civili vietnamiti scappati dal regime comunista di Hanoi, che stava trasformando il Paese in un gigantesco gulag. Queste persone, uomini, anziani, donne e bambini, respinti dagli Stati confinanti, aggrappati a scialuppe fradice, sbattuti tra le onde del Mar Cinese meridionale, in preda a burrasche e pirati, sono passati alla storia come boat people». Uno dei 907 profughi vietnamiti che arrivarono il 21 agosto a Venezia – accolti dal ministro della difesa Attilio Ruffini, da Giuseppe Zamberletti e tutti gli alti gradi militari del Paese –, dopo essere stato salvato dalle navi italiane, giunse fino ad Alba. Voleva lavorare, recuperare la vita persa a causa di scelte non sue e degli effetti disumanizzanti di un potere calato dall’alto. L’uomo venne ospitato nel Centro di prima accoglienza della Caritas, in via Pola, allora gestito da un giovane don Gigi Alessandria. Il vietnamita fu in qualche modo il pioniere di un fenomeno silenzioso eppure costante sotto le torri: un’umanità senza megafono che rompe i confini, che costringe le opulente civiltà occidentali a pensare che il benessere a cui sono abituate si fonda su neocolonialismo, diseguaglianze, totalitarismi e sfruttamento. Erano gli albori di un’epoca per l’immigrazione. Nei decenni successivi moltissime persone sarebbero arrivate in città e transitate nella struttura di soccorso. Dagli europei dell’Est agli africani del Nord, fino ai giovani provenienti dall’Africa subsahariana che animano il centro oggi. Tutte persone altrimenti costrette a dormire in strada, a perdere la propria identità, i legami, le potenzialità di sviluppo e di crescita.
m.v.
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