Il processo d’appello per le mutande verdi di Cota va ripetuto

Al via il processo al ceresolese accusato di truffa a 130 lavoratori bengalesi

ROMA Roberto Cota, l’ex governatore leghista del Piemonte, rivendicava «per sè un potere di spesa generale, di posizione, sostanzialmente sottratto a sindacato in ragione del ruolo ricoperto» rivelando una «concezione privatistica» dei rimborsi spese privi della «necessaria inerenza alle finalità pubbliche sottese al fondo di funzionamento dei gruppi consigliari». Lo scrive la Cassazione nelle motivazioni nelle quali ha esaminato la vicenda dei tanti scontrini per i quali Cota ha chiesto il rimborso, compreso quello delle famose mutande verdi, concludendo che non si trattava di spese rimborsabili. Tuttavia, siccome l’accusa di peculato è contestata in concorso con il collega di partito Mario Carossa, e questo aspetto è stato trattato «sbrigativamente» dai giudici dell’appello, secondo gli ermellini occorre un nuovo dibattimento con una motivazione rafforzata, dato che Cota in primo grado era stato assolto.

Nel verdetto depositato il 3 giugno – sentenza 16.765 della Sesta sezione penale – si legge che è fondato il motivo di ricorso «relativo al concorso di persone con il capogruppo consigliare, a fronte di una assoluzione per insussistenza del fatto la motivazione» resa dalla Corte di Appello di Torino il 24 luglio 2018 «è sbrigativa». «Ne deriva che sul punto – concludono i giudici della Cassazione dando ragione all’avvocato difensore Domenico Aiello – la sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio».

Lo scorso novembre, il giorno successivo all’udienza svoltasi il 18, Aiello – forse per un dispositivo del verdetto non molto chiaro – aveva dichiarato che Cota era stato assolto; in realtà come si legge ora nelle motivazioni della Suprema corte, ci sarà un appello bis. Per quanto riguarda le contestazioni delle spese, la Cassazione ritiene invece «non illogiche» le conclusioni cui erano giunti i giudici dell’appello condannando Cota a un anno e sette mesi per la «non occasionalità e sistematicità» con la quale l’ex governatore metteva a rimborso spese scontrini che non avevano attinenza con il suo ruolo in Regione. Si tratta di spese per effetti personali, «scontrini a catena, spese per ristorazione in luoghi limitrofi all’abitazione, spese sostenute durante viaggi all’estero». Molti conti di pranzi e cene dagli «importi rilevanti i cui giustificativi – osserva la Cassazione – farebbero riferimento a luoghi diversi da quello in cui l’imputato si sarebbe trovato». Sulle mutande verdi, la Cassazione concorda con la sentenza di merito che il loro acquisto non può essere addebitato ai contribuenti per il solo fatto che Cota era andato «negli Stati Uniti per un corso di inglese» e «che in tale occasione egli avesse in programma di incontrare, e poi incontrò, al Mit di Boston un ingegnere italiano per un progetto sulla innovazione relativo allo sviluppo economico».

Il processo sulla rimborsopoli del Piemonte riguardava l’uso disinvolto dei fondi destinati al funzionamento dei gruppi consiliari nella legislatura 2010-2014 a trazione Lega e centrodestra. In appello erano stati condannati in 25, rispetto ai 15 del primo grado, ora per molti ci sarà un appello bis, per alcuni solo una rideterminazione di pena.

Del tutto assolto Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera al quale erano stati inflitti undici mesi di carcere per i rimborsi, peraltro esigui (600 euro), delle notti in albergo quando si fermava a Torino per il protrarsi dei lavori consiliari.

Ansa

Banner Gazzetta d'Alba