L’economia è donna e il Pil non è tutto secondo Alessandra Smerilli

L'economia è donna e il Pil non è tutto secondo Alessandra Smerilli

L’INTERVISTA Alessandra Smerilli, religiosa delle Figlie di Maria ausiliatrice, è professoressa di economia politica alla Pontificia facoltà di scienze dell’educazione Auxilium di Roma. Ha studiato alla scuola di economia della East Anglia university di Norwich, nel Regno Unito ed è stata ricercatrice alla Facoltà di economia della Sapienza a Roma. Nel 2019 il Santo Padre l’ha nominata consigliere di Stato della Città del Vaticano. L’editore San Paolo ha pubblicato il suo ultimo libro, Donna economia, da qualche giorno disponibile in libreria.

Suor Alessandra, perché una donna consacrata sente il bisogno di studiare economia?

«Sono suora perché ho risposto a una chiamata. Un momento che ha rivoluzionato la mia vita e mi ha fatto fare una conversione: quello che prima era importante è divenuto vano e ho capito che il senso della mia vita era nel rispondere alla chiamata, fidarmi, andare verso mete ignote, nella certezza che chi mi aveva chiamata mi avrebbe condotta. E in questo andare per strade nuove sono come inciampata nell’economia: era un ambito a cui non mi ero mai avvicinata e mai avrei pensato di addentrarmici da suora, ma una superiora di grande lungimiranza aveva colto che l’economia sarebbe diventata molto importante per i giovani e il mondo: mi chiese di prepararmi in questo campo. Ho cercato di farlo seriamente e ho capito che una buona e nuova economia può nascere solo dal di dentro. Cerco di fare il mio lavoro con professionalità, e nello stesso tempo permeandolo della visione antropologica proveniente da un umanesimo biblico: molte volte si guarda ai modelli economici solo in termini tecnici e non si comprende che alla base di quei modelli ci sono ipotesi su cosa è la persona».

L'economia è donna e il Pil non è tutto secondo Alessandra Smerilli 1Com’è nata l’idea del libro?
«Era da tempo che riflettevo sui temi economici cercando di mettere in luce il contributo delle donne al pensiero e alla visione di un’economia più amica delle persone».

Perché identificare l’economia come donna?

«Semplicemente perché la parola economia deriva dal greco oikos-nomos: cura e gestione della casa, dove per casa possiamo intendere le mura domestiche, ma anche la casa comune, il pianeta che abitiamo. Un mondo dove le donne avrebbero tanto da dire e insegnare, ma finora lo sguardo sulla casa e sulla nostra casa comune è stato molto maschile».

Nel suo libro parla di scelte concrete importanti per umanizzare la finanza e sostiene che uno sguardo femminile può aiutare a vedere ciò che fino a ora è sfuggito alle misurazioni; in questo senso in cosa si differenzia lo sguardo maschile da quello femminile e a quali misurazioni fa riferimento?

«Intendo le misurazioni dello star bene delle persone e delle società. La persona va pensata in tutte le sue dimensioni. Faccio solo un esempio: per le donne è naturale pensare al lavoro e alla cura come aspetti entrambi importanti e da coltivare insieme».

Lei sostiene che non sempre l’aumento del Prodotto interno lordo indica il vero benessere di un Paese. Anzi a volte ne fa emergere il malessere. Cosa intende?

«Per esempio, se aumentano le spese per psicofarmaci, il Pil aumenta, così come se aumentano la produzione e il commercio di armi o se aumentano i costi legati all’inquinamento. È diventata famosa l’affermazione fatta da John Fitzgerald Kennedy nel 1968: “Il Pil misura tutto, tranne ciò che rende la nostra vita degna di essere vissuta”».

Lei scrive che la scienza economica non conosce il principio di sazietà; a cosa porta la fame insaziabile dell’economia e come mettere dei limiti a questo impulso?

«Uno degli assiomi su cui si fonda la teoria delle scelte del consumare è proprio il cosiddetto principio di non sazietà: l’idea che di più è sempre meglio e che non può mai essere un male l’avere qualcosa in più. Questo vuol dire che i modelli sono tutti costruiti sull’idea della massimizzazione: bisogna andare sempre oltre e avere sempre di più. Questo ha portato, per esempio, al mancato rispetto dell’ambiente e del pianeta, e in questo consiste la difficoltà che abbiamo a fermarci, a invertire la rotta».

Il suo libro ha come sottotitolo Dalla crisi a una stagione di speranza: in cosa dobbiamo sperare e cosa dobbiamo fare per uscire dalla crisi?

«Il libro è stato scritto prima della pandemia, ma esce soltanto ora, proprio perché nel frattempo tutto si era fermato. Sostengo che abbiamo bisogno di uno sguardo nuovo sul mondo e sull’economia, uno sguardo più plurale. Siamo ancora in tempo. Abbiamo compreso che la rotta si può cambiare. Adesso tocca a ciascuno di noi fare in modo che accada».

Walter Colombo

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