Gli allevamenti suini hanno solo effetti negativi?

CERESOLE Gli allevamenti suinicoli sono finiti al centro dell’attenzione in seguito alla lettera rivolta da Luciano Becchio all’Amministrazione, nella quale l’ex consigliere comunale si sofferma sulle principali problematiche derivanti da questo tipo di attività, facendo riferimento soprattutto a frazione Borretti e ad alcune zone limitrofe (in particolare l’area in cui sorge la chiesa della Madonna del buon tempo), in cui si trova la maggior parte dei sette allevamenti presenti sul territorio comunale.

Inquinamento, utilizzo di materie prime non collegate all’agricoltura del territorio e scarso indotto generato. Sono queste le maggiori criticità individuate dall’ex amministratore ceresolese, che sottolinea l’interazione totalmente negativa che questi allevamenti hanno nei confronti del territorio.

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«L’unico beneficio potrebbe essere l’indotto, rappresentato dalle industrie alimentari dei prosciutti e degli insaccati, ma questa non è la realtà del nostro territorio», ha scritto Becchio che, per far meglio comprendere tale problematica, ha citato il caso di Ossun, cittadina francese del dipartimento degli alti Pirenei, dove era scoppiata una protesta contro la costruzione di una porcilaia per seimila capi. In quel caso, tuttavia, l’indotto era garantito dalla filiera del prosciutto crudo di Bayonne.

Non si è fatta attendere la risposta del sindaco Franco Olocco, che ha spiegato come l’operato dell’Amministrazione debba attenersi a normative regionali e nazionali e possa dunque unicamente regolamentare e non impedire lo sviluppo di tali allevamenti. «In realtà esistono alcuni limiti a questo tipo di attività, stabiliti da norme tecniche approvate nel 2006 dall’allora amministrazione Lovera, e che abbiamo deciso di non rivedere nonostante le richieste di attenuazione da parte degli allevatori, nel corso dell’ultima campagna elettorale», afferma il sindaco.

Tali norme prevedono, tra le altre cose, che gli allevamenti abbiano diritto a un ampliamento una tantum del 40 per cento, oltre al rispetto della distanza dalle abitazioni: 1.500 metri, che salgono a duemila nel caso di allevamenti intensivi.

Il sindaco è poi andato all’attacco, evidenziando la mancanza di una sensibilità per l’ambiente all’epoca dell’Amministrazione Frappampina (di cui Luciano Becchio faceva parte), ricordando le lotte di un giovane Elio Becchis, adesso consigliere comunale, contro la realizzazione di una discarica presso tenuta Palermo.

Nel Cuneese quasi novecentomila capi: sono il 75 per cento di tutto il Piemonte

I NUMERI La Granda si conferma tra le prime province d’Italia per quantità di capi allevati. Con 800 aziende e un totale di quasi 900mila capi (il 75% del totale dei suini allevati in Piemonte), il Cuneese si conferma una delle aree leader in questo settore. Una distinzione necessaria è quella funzionale all’individuazione dei cosiddetti allevamenti intensivi, ovvero quelle aziende che superano i duemila suini o le 750 scrofe e che devono dunque attenersi all’Aia (autorizzazione integrata ambientale), documento che prevede norme più stringenti, tra le quali l’adozione delle migliori tecniche disponibili per la riduzione dell’impatto sull’ambiente. Una delle questioni che viene spesso riproposta quando si parla di questo tipo di attività è proprio quella dell’inquinamento.

Gli allevamenti suini hanno solo effetti negativi?
Allo stato attuale, come ci ha riferito Enrico Brizio (a capo del Coordinamento regionale Arpa per le emissioni in atmosfera), visto l’elevato numero di capi, la stessa attenzione in ambito ambientale è rivolta agli allevamenti di bovini e di suini. Per questi ultimi, l’impatto ambientale è dovuto in particolare alle emissioni di composti di azoto, come l’ammoniaca, i quali, volatilizzandosi nell’atmosfera, sono precursori delle polveri sottili, oltre che dai nitrati che si disperdono nel sottosuolo, finendo per contaminare le acque sotterranee. Per quanto riguarda la zona di Ceresole, i monitoraggi della situazione delle acque effettuati negli ultimi dieci anni hanno dimostrato come la percentuale di questi composti sia rimasta sotto la soglia dei 50 mg/L, limite previsto dalla direttiva nitrati.

Dennis Bellonio

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