TORINO Dal carcere dove si trova dopo la condanna definitiva a 18 anni per l’omicidio del gioielliere Patrizio Piatti, freddato con un colpo di pistola nel garage della sua villetta a Monteu Roero, il 9 giugno 2015, Junior Giuseppe Nerbo aveva continuato a gestire, grazie a corrispondenza cifrata e all’utilizzo di telefoni cellulari introdotti nel penitenziario e messaggi in codice inviati ai sodali, una vasta rete di smercio di droga che, dalla Spagna, raggiungeva diverse province d’Italia fra Piemonte, Liguria, Sardegna e Sicilia. A scoprire la fitta rete di scambi con otto complici, tutti arrestati nel corso di un’operazione, orchestrata dai militari del Reparto operativo speciale dei Carabinieri e dalla Direzione distrettuale antimafia, con il supporto delle compagnie territoriali dell’Arma.
Il gruppo è accusato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, parallelamente agli arresti, disposti dal Giudice per le indagini preliminari di Torino, i militari hanno sequestrato 170 chilogrammi di stupefacente fra cocaina, hashish e marijuana e cautelato, a scopo preventivo, beni per un ammontare di 700mila euro. Ritenuto la mente della rapina, sfociata nell’omicidio del gioielliere di Monteu Roero, perpetrata assieme a Francesco Desi, Emanuele Sfrecola e Salvatore Messina (tutti condannati), era riuscito a riparare a Barcellona sfuggendo al mandato di cattura: nel 2017, grazie alla cooperazione fra Carabinieri e Guardia civil era stato arrestato nel capoluogo catalano ed estradato in Italia: le prime evidenze del traffico di droga erano state raccolte in quella circostanza; gli sviluppi ulteriori hanno permesso di acclarare come, dal carcere, l’uomo riuscisse a mantenere i contatti con i complici e gestire un meccanismo di importazione di droga che si serviva, fra gli altri sistemi, di ignare ditte di spedizione alle quali venivano affidati i pacchi, dotati i Gps per monitorare gli spostamenti.